Gli incontri al San Giovanni Bosco, le divisioni del territorio e le intercettazioni descritte dagli inquirenti: clan Contini alla sbarra
Sono in corso le udienze finali del processo contro il clan Contini, storico sodalizio della camorra napoletana, egemone nei quartieri Vasto, Vicaria, Sant’Antonio Abate e Poggioreale. In questi giorni nell’aula del Tribunale di Napoli sono di scena le requisitorie del sostituto Procuratore della DDA (Direzione Distrettuale Antimafia) Ida Teresi, che ha ricostruito i capi d’accusa contro i vertici dell’organizzazione, raccontando le vicende criminali in cui il clan è coinvolto (pubblicate sul sito di Radio Radicale).
Gli inquirenti hanno basato gran parte della loro indagine sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, in particolare di Vincenzo De Feo (deceduto in carcere lo scorso 25 settembre a causa di una malattia) e di Teodoro e Giuseppe De Rosa (rispettivamente padre e figlio), e sulle intercettazioni raccolte negli ultimi anni durate la complessa attività investigativa.
Dall’inchiesta è emerso come il clan Contini avrebbe costruito attraverso le proprie attività illecite una vera e propria holding finanziaria con ramificazioni in tutto il mondo, grazie ad importanti investimenti in diversi settori dell’economia (in particolare nell’edilizia). Ma le fondamenta del “tesoro” del clan sarebbero nelle sue roccaforti a Napoli, ovvero nei quartieri controllati dal sodalizio: traffico e spaccio di stupefacenti, usura, estorsioni, ricettazione, scommesse sportive, abbigliamento contraffatto e appalti negli ospedali.
Traffico e spaccio di droga- È possibile dividere la mappa dello spaccio della droga in tre piazze principali:
- Rione Amicizia: da sempre il “fortino” della famiglia Bosti. La zona sarebbe stata affidata al controllo di Salvatore Botta detto ‘o Infermiere, cognato di ‘ò Romano (è sposato con Rosa Di Munno) ma molto legato a Patrizio Bosti. Botta sarebbe una figura importante all’interno della rete del clan Contini. Uomo di assoluta fiducia dei boss, al quale sono state delegate la gestione di diversi business, oltre che le relazioni con gli altri clan della città. Detenuto dal 2002 e condannato di nuovo nel 2017, in appello, a 18 anni di detenzione. Lavoravano per lui in questa piazza di spaccio Vincenzo Tolomelli e Antonio Cristiano. Entrambi sono stati condannati insieme ad Ettore Bosti nel maxi processo che li ha visti accusare di associazione finalizzata al traffico di droga (importata dall’Olanda) con l’aggravante della transnazionalità e le armi. I gestori della piazza avrebbero dovutoconsegnare al clan dai 35mila ai 50mila euro mensili come guadagni dalla vendita della droga.
- Borgo Sant’Antonio Abate: è il “cuore” della famiglia Contini. Il reggente della zona sarebbe stato Giuseppe Ammendola detto ‘Peppe ò uaglione, figura di grande rilievo del clan e fedelissimo di Eduardo ‘ò Romano. Quest’ultimo è stato arrestato il 12 agosto del 2015 a Torvajanica (dopo 3 anni di latitanza). Era stato condannato precedentemente, in primo grado, a luglio del 2015 e poi in appello, nel 2017, a 10 anni di carcere. Per questa piazza la droga si sarebbe acquistata da Luigi Mastellone e Luigi Cella. La piazza del Borgo sarebbe stata, come affermato dalla Pm Teresi “croce e delizia del clan“, in quanto spesso causa di alcuni conflitti interni al sodalizio.
- Gruppo Stadera: la zona rappresenta la parte più “esterna” sotto la gestione del clan Contini e quella che confina con il territorio di competenza del clan Mazzarella. Il comando sarebbe stato affidato a Paolo Di Mauro detto anche lui ‘o Infermiere, arrestato in Spagna nel 2010 e condannato a 24 anni di carcere per traffico e spaccio di stupefacenti. Inoltre sarebbe il presunto killer di Francesco Mazzarella ucciso nel 1998 fuori il carcere di Poggioreale. A gestire la piazza e i rapporti con i vertici del sodalizio, sarebbero stati Antonio Ruggiero ‘o Malommo, sposato con Vincenza Guerriero (zia di Raffaele Guerriero), Giovanni Martinelli, Domenico Ciminiello alias ‘Mimì ò mericano (entrambi deceduti), Annunziata Oliva (moglie di Giovanni Migliaccio), Lucio Migliaccio, Luigi Bove, Raffaele Nurcato (questi ultimi entrambi detenuti perché condannati, insieme a Luigi Folchetti e Mauro Mele), Sergio Barone Lumaga e Mocerino Luigi. Lucio Migliaccio e Annunziata Oliva, assistiti dall’avvocato Salvatore D’Antonio, sono stati poi scarcerati dal Tribunale del riesame perché le intercettazioni sono state ritenute inutilizzabili.
Usura- Rita Aieta insieme al figlio Ettore Bosti avrebbero gestito quest’attività illecita. La “base” in cui i due avevano concentrato il giro di prestiti era un negozio di telefonini a San Giovanniello. Il locale era stato preso con Piero Falco che non riuscendo a pagare la “mesata” al clan, era stato obbligato a investire il suo denaro nel negozio. A lavorarci erano Pietro ‘Pierino Caso e a volte la moglie di ‘o Russo, Filomena Lo Russo. Le tariffe: 30% agli affidabili, il 360% in più all’anno; 50% ai non affidabili, 600% in più all’anno. Antonio Aieta (fratello di Rita e zio di Ettore) insieme a Luigi Galletta avrebbe reinvestito i beni proventi dal business dell’usura in automobili e orologi.
Estorsioni- Il racket sarebbe stato di competenza di Salvatore Botta. Le tariffe erano di 50€ a settimana per ogni bancarella presente nel Borgo di Sant’Antonio Abate. Molte delle riunioni tra gli estorti e gli uomini del clan si sarebbero tenute presso l’ospedale San Giovanni Bosco, sempre al cospetto di Botta. Gli interessi del sodalizio sarebbero stati anche negli appalti all’interno dell’ospedale, affare che avrebbe permesso di assumere personale scelto direttamente dall’organizzazione criminale.
Abbigliamento contraffatto- Il clan Contini avrebbe incentrato tra gli anni ’80 e ’90 le proprie attività commerciali su quelle figure che all’epoca venivano definite come magliari. Ancora oggi questo business sarebbe più florido che mai e la sua gestione sarebbe stata affidata a Salvatore Botta. Quest’ultimo sarebbe stato a capo dell’intera filiera e avrebbe impartito le direttive ai vari produttori e venditori. Avrebbero lavorato per lui i fratelli Diego e Mario D’Ambrosio, la cui attività però fallisce costringendo entrambi alla fuga all’estero. Dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sarebbe emersa la duplice valenza di Botta: essere protetti da lui voleva dire trovarsi in una botte di ferro, ma guai a sgarrare o la vendetta di Botta sarebbe stata furiosa. “Se non paghi ti sfonda“, è questo il “comandamento” venuto fuori dalle intercettazioni. Degli “atti di forza e violenza” si sarebbe occupato il nipote Nicola Botta alias ‘Doccetta.