Il Palazzo Doria fa da spartiacque tra Via Toledo e Via Sant’Anna dei Lombardi. Immediatamente alle sue spalle, a prosecuzione di quel trapezio, si erge il Palazzo Carafa dei Maddaloni a Toledo. La famiglia cui è appartenuto per generazioni è quella, potentissima, dei Carafa. Maddaloni è invece il territorio in cui i proprietari di questo palazzo erano duchi. La dicitura precisa, dunque, sarebbe questa: Palazzo Carafa, duchi di Maddaloni.
Come detto, si trattava di una delle famiglie più potenti di Napoli, sia sul fronte politico che su quello economico. I vari rami di questa casata furono in grado di accaparrarsi ognuno grosse fette del centro antico, disseminato infatti di palazzi Carafa. C’erano i Carafa di Maddaloni, i Carafa della Spina, i Carafa di Belvedere, i Carafa di Montorio, i Carafa della Stadera, i Carafa d’Andria.
Un esempio recente del prestigio di questa famiglia? Se il Presidente della Deputazione, l’organo che gestisce la Cappella del Tesoro di San Gennaro, è per statuto il Sindaco di Napoli, i rimanenti membri vengono scelti tra le famiglie storiche più potenti di Napoli. E guarda caso il vicepresidente è proprio un Carafa (ramo d’Andria), nella fattispecie il Duca Don Riccardo Carafa d’Andria.
Parleremo oggi invece del Palazzo dei Carafa, ramo Maddaloni. Il loro Palazzo è un quadrilatero, circoscritto da quattro importanti strade: a sud il palazzo si affaccia su Via Tommaso Senise; a Nord su Vico Maddaloni, a Ovest confina con Via Sant’Anna dei Lombardi, a est con Via Toledo (città che a volte compare nella dicitura completa del palazzo).
Palazzo Carafa ha tre facciate degne di questo nome, costruite per esserlo. Ma una di queste tre un tempo era considerata la principale, quella che oggi è nascosta dal Palazzo Doria d’Angri (costruito successivamente). Quella facciata, infatti, era ben visibile non appena si accedeva a Napoli da una delle sue Porte più famose: la Porta Reale.
Il Palazzo non fu edificato per ordine dei Carafa. Il “mandante” fu Cesare d’Avalos, un marchese che nel 1581 avviò i lavori per il suo palazzo, comprando anche parte delle proprietà circostanti per espandere il progetto. Nel 1585 il caseggiato era già perfettamente comprensibile: tre lati edificati, ed un quarto lasciato libero a scopo giardino.
Il figlio di Cesare d’Avalos, Inigo, affittò il palazzo al marchese Benedetto Montalto. Il figlio di Inigo (Ferdinando Francesco), a sua volta, beneficiò del cospicuo affitto pagato dal Marchese Ottone Capecelatro per abitarvi. Alla morte di Ferdinando Francesco gli eredi decisero di vendere. Si fece trovare pronto all’acquisto Gaspare Roomer, ricco mercante fiammingo.
Nel 1656 l’edificio passa nelle mani dei Carafa. Ma l’intreccio di risvolti storici e romanzeschi che portarono a questo avvicendamento, va assolutamente raccontato, in particolare perchè riguarda un personaggio molto sui generis: Diomede V Carafa, duca di Maddaloni e Conte di Cerreto Sannita, soprannominato “Mustaccio” per via dei suoi baffi appariscenti.
Quando nel 1647 scoppiò la rivoluzione di Masaniello contro l’eccessiva pressione fiscale del viceré, il Duca Diomede Carafa era in carcere, con a carico accuse pesanti: l’esplosione di un galeone del viceré, e la copertura di briganti, utilizzati al proprio servizio. Venne liberato dal viceré in persona, a condizione che convincesse i rivoltosi a ritornare sui propri passi.
Ovviamente il tentativo di mediazione fallì. Il duca Diomede fu trascinato dalla folla nuovamente in carcere il 9 giugno del 1647. Un mese più tardi, grazie alla complicità di alcuni suoi fedelissimi, il Duca riuscì ad evadere, e si diresse immediatamente verso i suoi possedimenti a Capodimonte, e di lì a Chiaiano, Cardito, Aversa e Capua.
Sarebbe finita lì, se non fosse stato per il caratterino del duca, il quale, volendo far pagare col sangue l’onta che il popolo di rivoltosi lo aveva costretto a subire, inviò in città il suo piccolo esercito personale, guidato dal fratello Giuseppe Carafa. Risultato molto “al di sotto delle attese”. Il fratello venne decapitato e la sua testa penzolò su Porta San Gennaro.
Il Duca Diomede divenne oggetto di immediata rappresaglia. Fu presa d’assalto la sua residenza vicino al monastero di Santa Maria della Stella. Furono rubati tutti gli oggetti di valore, tutti i “contanti” trovati in casa, confiscate le opere d’arte e persino i cavalli, per l’ammontare della ragguardevole cifra di centinaia di migliaia di scudi.
Che non si fosse trattato di un semplice pretesto per fare cassa, lo si evince dalla fase numero due della vendetta. Masaniello ordinò che fosse distrutta la residenza del duca a Posillipo. In quel caso si preferì darle fuoco, anche se i beni all’interno della stessa erano numerosi e consistenti. Promise anche 10000 ducati a chi gli avesse portato la testa di Diomede Carafa.
La testa il Carafa seppe conservarla fino alla fine dei propri giorni, giunta in maniera naturale nel 1660. Quattro anni prima, però, riuscì a concludere un affare che dire vantaggioso è usare un eufemismo. Riuscì a scambiare le sue proprietà devastate di Santa Maria della Stella e di Posillipo, con un grande palazzo di Napoli, appena acquistato da un certo Gaspare Roomer.
Ve lo ricordate? Era il ricco mercante fiammingo di cui avevamo parlato poco fa. Il proprietario del palazzo prima che ne divenisse proprietario Diomede V Carafa, prima che il Palazzo diventasse ufficialmente Palazzo Carafa di Maddaloni. Il progetto del Palazzo di famiglia appassionò a tal punto Diomede, che non si badò a spese riguardo artisti ed artigiani.
Parteciparono alla creazione di questo gioiello Cosimo Fanzago (in qualità di architetto e direttore dei lavori), Pietro Sanbarberio per i marmi (direttamente dalla scuola di Massa Carrara), Leonardo Pacifico per il piperno, Vincenzo Calcagno per il portone ligneo, e tutta una serie di pittori per gli interni (Fischetti, del Po, Di Maria).
Il risultato è una frammistione di stili che spazia dal barocco romano al barocchetto e al rococò. Una contaminazione che andava di gran moda a Napoli, tant’è che Palazzo Carafa divenne ben presto un luogo centrale della vita mondana di Napoli, tra nobili ricevimenti, feste aristocratiche, ed incontri privati decisivi ai fini delle sorti politiche della città.