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La tormentata storia del Palazzo Sangro di Casacalenda a Napoli

16 Luglio 1754: la Duchessa di Casacalenda, Marianna de’ Sangro, moglie di Lutio de’ Sangro, stipula un contratto con il mastro fabbricatore Donato Cosentino, finalizzato alla “modernizzazione, ampliazione e mutazione in altra forma” della residenza dei Duchi di Casacalenda in Piazza San Domenico Maggiore. Progettista e supervisore dei lavori, Mario Gioffredo, tra i più noti e richiesti architetti ed ingegneri di Napoli.

 

Il progetto iniziale prevedeva la ristrutturazione del palazzo preesistente, la preservazione di una magnifica scala realizzata da Cosimo Fanzago, lo stesso artista a cui fu commissionato l’obelisco che dominava e domina Piazza San Domenico Maggiore dal 1600, l’ampliamento del palazzo verso la Chiesa di Sant’Angelo a Nilo, inglobando i locali di servizio della Chiesa di Santa Maria della Rotonda, e un ponte che avrebbe collegato Palazzo Casacalenda con la residenza del Duca Borgia, sull’altro lato del Vicolo Pallonetto a Santa Chiara.

Ma l’acquisto della residenza dei Borgia non andò a buon fine. Pertanto la Duchessa Marianna si trovò costretta a cambiare i suoi piani. Alla quantità mancata in termini di estensione orizzontale tentò di sopperire con la qualità e con la verticalità. Per cui si resero necessari un piano in più ed una riprogettazione delle decorazioni generali del palazzo.

I lavori cominciarono sotto l’egida di Mario Gioffredo, ma proseguirono ad opera di Luigi Vanvitelli, che fu chiamato a sostituire il precedente Maestro a causa di danni veri o presunti imputabili all’imperizia di Gioffredo. L’avvicendamento nella direzione e nella progettazione dei lavori ha reso difficilmente identificabili le aree di intervento dei due artisti: cos’è dell’uno e cos’è dell’altro non può essere definito con massima certezza.

Ciò che è certo è che Gioffredo procedette secondo quanto concordato con la Duchessa di Casacalenda fino al 1861, riciclando il materiale edile fornito dalle precedenti fabbricazioni, nella fattispecie delle antichissime mura greche che portavano alla vicinissima Porta Puteolana, presente all’altezza di Piazza San Domenico.

Nel 1761 la svolta. Marianna di Casacalenda intentò causa al Gioffredo perchè non gli volle riconoscere il sovrapprezzo richiesto dalla “ponitura de’ piperni”. Dagli atti del processo che ne nacque, si evince che nel 1761 il palazzo era ultimato fino al piano dei mezzani (al di sopra del primo piano nobile), e che i lavori per la costruzione del secondo piano nobile erano già in fase avanzata.

In risposta alle accuse della Duchessa, Gioffredo intentò causa alla stessa, l’anno seguente, contestandole il mancato pagamento della sua parcella. E nel 1763 la Duchessa, stizzita dalla contraccusa, rispose con un’ennesima causa, intentata a Gioffredo e finalizzata al risarcimento dei danni provocati al palazzo dalla sprovvedutezza del Maestro.

Nel 1762 venne nominato direttore dei lavori Luigi Vanvitelli, che sostenne la tesi della Duchessa secondo cui varie debolezze strutturali, palesatesi in forma di crepe e lesioni dei fabbricati, furono causati da errori di calcolo o costruzione di Mario Gioffredo. Ma non cominciò a porvi rimedio prima del 1765, tre anni dopo l’ufficializzazione del suo incarico.

Questo gioco al massacro processuale proseguì anche dopo la morte di Marianna de’ Sangro. Scipione di Sangro, il primogenito erede del palazzo, fu invitato dal tribunale a saldare il debito con il maestro Gioffredo. Scipione tentò di tergiversare, nell’attesa di riscuotere quanto gli doveva l’appaltatore, in maniera da saldare il debito col Gioffredo tramite il credito col Cosentino.

Ma le figlie di Gioffredo non avevano tempo da perdere, e subito intentarono causa al povero Scipione per il mancato versamento riconosciuto all’opera del padre. Vero è che la reputazione paterna, la sua autorità professionale, furono messe a dura prova dalle accuse. Tanto che i lavori commissionati a Gioffredo dopo il 1762 furono solamente due. Segno che le voci giravano, ed esattamente come oggi, vere o false che fossero, incidevano profondamente.

Torniamo al Palazzo dei Duchi di Casacalenda. L’avevamo lasciato nelle mani del Vanvitelli, intento ad accomodare le lacune strutturali lasciate, a suo dire, da Gioffredo. E difatti il suo intervento si concentrò tra sottofondazioni, rinforzi murari, sostituzioni dei solai lignei, puntellatura della facciata, sostituzione dei pesanti marmi con mattoni leggeri e intonaco.

All’inizio del 1800, con la morte di Scipione, i beni di famiglia cominciano ad essere frazionati tra una moltitudine di nipoti. Nessuno aveva la forza finanziaria per gestire un palazzo di quelle dimensioni, pertanto la vendita del secondo piano del palazzo ai Del Balzo nel 1831 fu un atto necessario. Nel 1845 il Palazzo di Casacalenda era ormai una multiproprietà.

La Chiesa di Santa Maria della Rotonda fu parzialmente distrutta, e nel 1922 venne completamente demolita, insieme ad una porzione laterale del palazzo, per far posto ai lavori di ampliamento di Via Mezzocannone. Al tempo non fu considerato di particolare rilevanza il fatto che la facciata del palazzo risultasse di otto anziché di nove campate, a causa della brutale mutilazione. La simmetria, questo fastidioso optional.

Il 1922 fortunatamente non si rivelò altrettanto insensibile alla raffinata pittura di Fiaschetti, che aveva affrescato numerosi locali del palazzo, e le cui opere ci si premurò di staccare dal muro, prima dei lavori di parziale demolizione, e preservare nei musei di Capodimonte, dove attualmente ancora risiedono. Nel Palazzo di Casacalenda è invece ancora presente la splendida Allegoria di Giove in Olimpo.