La Cassazione sgonfia, e non di poco, l’inchiesta Consip, quella che ha portato all’arresto per corruzione dell’imprenditore napoletano Alfredo Romeo e allo scontro tra le procure di Napoli e Roma in merito a una falsa intercettazione su Tiziano Renzi, padre dell’ex premier e attuale segretario del partito democratico Matteo. Secondo l’accusa Romeo avrebbe corrotto, con 100mila euro, il dirigente Consip Marco Gasparri per ottenere informazioni riservate e consigli per aggiudicarsi appalti pubblici.
“Non si comprende dall’ordinanza impugnata di quali contenuti operativi consista ed in quali forme e modalità concrete s’inveri il ‘metodò o il ‘sistemà di gestione dell’attività imprenditoriale da parte del Romeo, cui si fa riferimento per giustificare l’ipotizzato esercizio di una capacità d’infiltrazione corruttiva in forme massive nel settore delle pubbliche commesse”. Lo scrive la Cassazione, che ha accolto il ricorso contro la custodia cautelare in carcere di Alfredo Romeo, accusato di corruzione nell’inchiesta Consip.
Per l’imprenditore napoletano, dopo cinque mesi di carcere, sono stati in seguito disposti i domiciliari con braccialetto elettronico. La sesta sezione penale della Cassazione il 13 giugno aveva accolto il ricorso della difesa, contro l’ordinanza con la quale il Riesame confermava il carcere per Alfredo Romeo. La Cassazione ricorda che lo stesso Romeo è incensurato e che “sulle attività d’indagine in corso non sono esplicitati nella motivazione precisi riferimenti dai quali ricavare l’esistenza del periculum libertatis e che su quelle ormai espletate l’esposizione è solo genericamente illustrata”. La Corte ricorda poi che in tema di custodia cautelare, dopo la riforma del 2015, il giudice deve motivare sull’idoneità degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, «profilo questo di cui non vi è traccia nell’ordinanza impugnata”.
Ancora, “nessun controllo è stato effettuato, pur a fronte di eccezioni gravi e puntualmente formulate, sulla sussistenza dei presupposti di legittimità delle operazioni di intercettazione ambientale”, scrive la sesta sezione penale della Cassazione che ha stabilito che il tribunale del riesame dovrà svolgere “verifiche sul materiale indiziario emerso dalla operazioni di intercettazione ambientale espressamente utilizzate dal pm a sostegno della propria richiesta ed in seguito valutate dal gip” accertando in particolare il collegamento tra “la condotta delittuosa” oggetto dell’accusa e “l’esistenza di associazioni criminali”, che può giustificare l’utilizzo di mezzi “particolarmente invasivi” come i captatori informatici. La difesa di Romeo, infatti, contestava la legittimità dell’utilizzo da parte degli investigatori dei cosiddetti software spia dalle quali erano emersi 13 incontri tra Gasparri e l’imprenditore dal 3 agosto al 29 novembre 2016.