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Camorra di Vomero e Arenella: clan Cimmino padrone di appalti e racket

Prosegue il viaggio di VocediNapoli.it nella criminalità organizzata cittadina. Dopo aver analizzato i quartieri a est di Napoli, le zone al centro della città e una prima parte di quelle presenti nell’area occidentale, oggi focalizziamo la nostra attenzione sui quartieri collinari del Vomero e dell’Arenella.

Rispetto a quello che si registra in altri territori di Napoli, qui la situazione è apparentemente tranquilla. Tuttavia le recenti operazioni delle forze dell’ordine, oltre a quanto rilevato dalla Direzione Investigativa Antimafia (DIA) nella relazione relativa al secondo semestre del 2016, hanno dimostrato l’esatto contrario: nella zona collinare di Napoli si spara poco, si uccide pochissimo ma gli affari dei clan proseguono spediti.

Estorsioni e appalti. Queste le principali attività che la camorra porta avanti al Vomero e all’Arenella. In quest’ottica le dichiarazioni rilasciate lo scorso giugno da Filippo Beatrice, procuratore aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Napoli, in un’intervista rilasciata nei mesi scorsi, fotografano appieno l’attuale situazione.

Ci sono delle evoluzioni criminali al Vomero su cui puntiamo l’attenzione. Anche se non ci sono omicidi non è detto che ci sia pace. C’è il tentativo di un controllo da parte dei clan dell’area della zona ospedaliera. Lì dove sembra che non succeda nulla di grave, stanno accadendo cose che meritano l’attenzione dell’antimafia“.

Secondo l’ultima relazione della DIA, a comandare da anni al Vomero e all’Arenella è un unico clan, quello che fa capo al boss Luigi Cimmino, 56 anni, arrestato il 5 marzo del 2016 a Chioggia, in Veneto, dopo una breve latitanza. Dopo il suo arresto, il passaggio della leadership sarebbe passato “agli anziani del clan” che continuano a chiedere il pizzo “per aiutare gli amici del Vomero“.

Emblematico in quest’ottica il discorso fatto al titolare di un parcheggio privato dell’Arenella da Gennaro Formigli, 71enne elemento di spicco del clan, arrestato lo scorso 25 ottobre dai carabinieri.

“Sono Gennaro, tanto ti basta sapere… in passato non hai mai aiutato gli amici del vomero… io mi sono fatto 27 anni di carcere…ora è arrivato il momento di aiutare gli amici di cella: dovete fare un regalo ai compagni. Noi teniamo un sacco di problemi e li dobbiamo mantenere ai compagni di cella… cercate di capire…”.

Il clan Cimmino è nato dalla scissione con i Caiazzo, entrambi i clan un tempo alleati sotto l’egemonia del boss Giovanni Alfano. Scissione che provocò la morte di una donna innocente, Silvia Ruotolo, uccisa il 17 giugno 1997 a salita Arenella. Quel giorno l’obiettivo dei killer era proprio Luigi Cimmino.

Cimmino che dopo la scissione dai Caiazzo, ricoprì un ruolo chiave nei rapporti con i principali clan di Napoli facenti parte dell’Alleanza di Secondigliano (Contini, Mallardo, Licciardi) oltre ai Polverino di Marano e ai Lo Russo di Miano. Il boss aveva un obbligo di dimora in provincia di Frosinone ma grazie ai falsi certificati di un medico napoletano riusciva a tornare in città con il pretesto di doversi sottoporre a visite mediche portando così avanti gli affari illeciti. Dopo essere stato scarcerato nel 2011, Cimmino ha ricostruito il suo gruppo e riavviato le estorsioni nelle zone collinari di Napoli con l’innesto di affiliati storici e nuove leve. Oltre alle estorsioni sono diverse le attività (bar, pub, società, immobili) intestati a prestanomi riconducibili al clan. Lo testimonia un sequestro beni da 800mila euro nei confronti di Raffale Petrone, 73 anni, avvenuto lo scorso luglio.

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OSPEDALI, CANTIERI, ATTVITA’ COMMERCIALI – Tra le richieste estorsive finite al vaglio degli investigatori figurano due tentativi di imporre il pizzo a cantieri per lavori alla tangenziale (zona ospedaliera) e a un cantiere edile al lavoro nell’ospedale Cotugno. Diverse le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che ricostruiscono le attività del clan Cimmino. Tra queste quella di Mario Lo Russo, ex boss dei ‘Capitoni’ di Miano, che nel ricostruire la gestione degli appalti negli ospedali di Napoli, attribuisce “il Cardarelli, il Monaldi e il Pascale ai Cimmino del Vomero“.

L’ARRESTO DEL BOSS TRA LE URLA DA STADIO –

Luigi Cimmino è stato arrestato in un primo momento il 20 luglio del 2015 insieme agli altri quattro affiliati. Indecente lo “spettacolo” andato in scena all’esterno del Comando dei carabinieri della Compagnia Vomero. All’uscita del boss, le donne presenti sul marciapiede di fronte gli dedicarono cori e messaggi d’amore (“Bravo, bravo”, “ti amooo!”). La detenzione in carcere dura appena 11 giorni. Cimmino e i suoi affiliati tornano a casa grazie alla decisione del Tribunale del Riesame che non ha ritenuto sufficienti le prove raccolte dalla DDA partenopea.

La Procura però non si è arresa e, grazie anche a ulteriori indizi raccolti dai carabinieri del Vomero, è riuscita a ottenere un nuovo ordine di carcerazione per Cimmino e per il genero Pasquale Palma. Ordine scattato a febbraio del 2016 con il boss che, consapevole dei rischi che correva, ha tagliato la corda dandosi a una latitanza durata poco più di un mese. Il 5 marzo infatti i militari lo hanno scovato in un appartamento di Chioggia, in provincia di Venezia. Aveva una borsa pronta per una possibile ripartenza e 7mila euro in contanti. Nella stessa giornata a Napoli i carabinieri hanno arrestato Pasquale Palma che si nascondeva in un appartamento in via Matteo Renato Imbriani.

L’ARMADIO E I LIBRI DI GRISHAM – Quando i carabinieri hanno fatto irruzione nell’abitazione, Cimmino ha tentato invano di nascondersi nell’armadio ma a tradirlo sono stati alcuni medicinali, che prende quotidianamente, presenti sul comodino della camera da letto. Nel suo covo i militari hanno trovato anche una decina di libri di John Grisham, lo scrittore statunitense esperto di gialli giudiziari.

AMANTE GELOSA – Lo stesso Cimmino, nelle indagini condotte dalla Procura e dai carabinieri, è stato condizionato dall’atteggiamento, eccessivamente geloso, dalla sua amante. La donna infatti, temendo di essere tradita, chiedeva esplicitamente al suo boss di chiamarla quando si recava dalle famiglie degli affiliati detenuti per consegnare le “mesate“. Cimmino per dimostrare la sua fedeltà, andò a consegnare due stipendi ad altrettante mogli di detenuti mentre era a telefono con l’amante. L’intercettazione viene così carpita dai carabinieri che ottengono informazioni vitali sulla vicenda. Dalle indagini, inoltre, è emerso che il clan si è anche prodigato per pagare le spese matrimoniali alla figlia di uno dei suoi affiliati storici.