Il napoletano è una lingua sincera, verace, allegra, essenziale; in poche e sentite parole è una lingua che ti arriva diritta al cuore. E’ un dialetto che affonda le sue radici nella cultura greca e in quella latina, per non parlare poi delle contaminazioni che hanno contribuito a plasmarlo come, ad esempio, quella spagnola, francese ed, infine, inglese. Se capita di imbatterci in un detto antico, in uno di quelli che possiamo sentire solo sulle labbra di qualche nonno o anziano parente, è allora che dovremmo ringraziare il destino di averci fatti nascere a Napoli.
Il proverbio di cui sto per parlarvi non è uno dei più famosi eppure per l’aneddoto che cela val la pena di essere raccontato in quanto rappresenta la chiave di volta per comprendere a pieno l’ironia napoletana. Siamo nel periodo pasquale, durante la celebrazione di un’Agonia. Un predicatore regge in una mano una candela e nell’altra un crocifisso. Improvvisamente il sacerdote avvicina la candela al crocifisso in più punti salvo poi recitare una serie di formule quasi come se stesse rivolgendosi ad un ipotetico interlocutore.
“Vedi il chiodo infisso in questa mano? Lo hai conficcato tu, peccatore. E la ferita nel costato? L’hai prodotta tu, peccatore! E la corona di spine? Gliel’hai posta tu sul capo peccatore!“. Durante il monologo vengono citate tutte una serie di sofferenze a cui fu sottoposto Gesù Cristo per colpa per volontà degli esseri umani. Ovviamente la predica riusciva sempre a suscitare una certa soggezione e umiliazione nei cuori dei presenti questo fino a quando, un bel giorno, un uomo di certo sfrontato decise di intervenire.
E con un tono a metà tra l’impertinenza e il coraggio urlò a gran voce: “Mo abbrùcialo ‘a barba e dice che ca so’ stat’i’“. Non credo che ci sia bisogno di aggiungere altro per raccontare quanto l’irriverenza e l’ironia napoletana sia in grado, di tanto in tanto, di regalare attimi di vita che definire unici è davvero dire poco!