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Uccisa di botte poi il raid in ospedale, il ricordo di Irina. La madre: “Giustizia per i suoi tre figli”

La donna, 39 anni, sarebbe stata massacrata di botte dal marito: il processo è iniziato. La madre vive ancora con lui e i nipoti

Il mio più grande peso è quello di aver sbagliato prima come madre ed ora come nonna. Forse, avrei dovuto denunciare e non dare ascolto a mia figlia“, la voce e lo sguardo di Nina Tyahla sono segnati dalla commozione e dalle lacrime. Eppure, la madre di Irina Maliarenko ha una gran forza. Una dignità manifestata per più di un anno, da quando durante la notte tra il 29 febbraio e il primo marzo 2020, sua figlia perse la vita all’ospedale dei Vecchi Pellegrini a Napoli.

La storia di Irina è intrecciata ad altre due vicende. La prima, è quella del presunto femminicidio del quale sarebbe stata vittima. Infatti, l’imputato al processo che ha avuto inizio lo scorso marzo, è il marito. Quest’ultimo, insieme al proprio avvocato, ha deciso di non usufruire del rito abbreviato.

L’altro fatto ha riguardato Ugo Russo, il 15enne che durante la stessa e maledetta notte, perse la vita nel tentativo di commettere una rapina. Ad ucciderlo un carabiniere, non in servizio e obiettivo del ragazzo e il suo complice. Poche ore dopo parenti e amici assaltarono il pronto soccorso dei Pellegrini devastandolo: attimi di follia, paura e violenza. Proprio durante quei momenti concitati Irina perse la vita.

L’autopsia eseguita sulla salma ha riscontrato contusioni su più parti del corpo, ma soprattutto gravi danni al fegato e alla milza. La 39enne di origini ucraine, madre di tre figli e in possesso di regolare permesso di soggiorno, era ricoverata in agonia da diversi giorni. “Quando i medici ci hanno chiamato avevo già capito tutto – ci ha raccontato la signora Tyahla in un’intervista esclusiva rilasciata a VocediNapoli.it – Eppure in quel momento in ospedale regnava il caos“.

Intervista alla mamma di Irina

La madre di Irina ha ricordato gli ultimi momenti trascorsi con la figlia prima che lei morisse. Poche parole, viste le gravi condizioni, che avrebbero confermato le violenze subite. Abusi ricevuti più volte nel tempo, ai quali avrebbero assistito anche i figli, a loro volta vittime dei presunti maltrattamenti perpetrati del marito. “Lui ha problemi con l’alcol – ha detto Nina Tyahla – Si è sempre interessato poco di mia figlia e dei miei nipoti. Molte volte sono stata io a provvedere economicamente alla famiglia“.

Persino per il funerale ci furono problemi. La famiglia di Irina non aveva la possibilità economica di organizzare il rito funebre e la cremazione della giovane. Anche il Consolato ucraino si dimostrò ‘latitante’. Solo grazie all’operato di alcune persone, membri delle comunità ucraine di Napoli, e alla battaglia condotta da Gianni Simioli e dal Consigliere Regionale Francesco Borrelli (che sta continuando ad assistere la signora Tyahla), fu organizzata una raccolta fondi solidale alla quale parteciparono molti napoletani.

L’iniziativa ha permesso alla signora Tyahla di dare un ultimo e dignitoso saluto alla figlia Irina: “Nonostante sono stata lasciata sola dalle istituzioni e dagli assistenti sociali, ho trovato poche persone che mi hanno aiutata“. Ad oggi è passato più di un anno, un periodo segnato dalla pandemia e dal dolore. Giornate durante le quali il caso -Irina pareva dimenticato da tutti e da tutte. Per la mamma 39enne c’è solo una panchina rossa nel cortile dei Vecchi Pellegrini.

E l’incubo non è ancora finito. Nina Tyahla vive in casa con il genero e i tre nipoti. Un paradosso, soprattutto perché, “lui mi mette contro i ragazzi. Dice che io voglio far condannare e mettere in carcere il loro padre. E questo mi sta facendo molto male“. La prima udienza del processo è stata rinviata a maggio: “La giustizia è lenta, ma io voglio la verità. Voglio giustizia, e la possibilità di vivere in una casa con i miei nipoti. Solo questo“, ha concluso la signora Tyahla.

Intervista alla mamma di Irina