Non è Berlusconi, Renzi o Salvini. Ma Rechard Jewell. Uno come noi, finito nel tritacarne mediatico-giudiziario. Un capolavoro di Clint Eastwood
“Nel mio paese quando il Governo dice che uno è colpevole vuol dire che è innocente“; “Presidente, la prego metta fine a tutto questo. Presidente, riabiliti il nome di mio figlio“. Sono le due frasi che più mi hanno colpito del film. Dette entrambe da due donne e in due momenti diversi ma decisivi. La prima è pronunciata dalla segretaria dell’indomito avvocato Bryant Watson, interpretato da uno straordinario Sam Rockwell. Questa frase ha segnato l’inizio della difesa legale di Richard Jewell (alias il sorprendente Paul Walter Hauser), accusato ingiustamente di aver piazzato e scoperto una bomba in un parco ad Atlanta durante le olimpiadi del 1996.
La seconda è detta, in occasione di una conferenza stampa, dalla madre di Richard, Barbara “Bobi” Jewell che ha il volto della mitica Kathy Bates. Questa frase ha invece rappresentato il quasi riscatto del protagonista, un eroe vittima dell’ingiustizia. Vittima del sospetto e del rito inquisitorio. Richard, per l’FBI, non era innocente fino a prova contraria ma colpevole. Lo Stato di Diritto è stato ribaltato, è stato il cittadino ad aver dimostrato la propria innocenza, non la pubblica accusa la sua colpevolezza.
Così, assediato da giornalisti senza scrupoli e in particolare da una collega caparbia e pronta a tutto pur di firmare un scoop in prima pagina (la bravissima Olivia Wilde nei panni della reporter Kathy Scruggs), Richard ha visto crollare pezzo dopo pezzo la propria esistenza. La sua vita normale, piena di problemi ma forte di un grande senso del dovere e del rispetto, è stata stravolta da un’indagine faziosa che si rivelerà fallimentare. Alla fine il vero colpevole sarà arrestato, ma questa è un’altra storia.
Ho visto un grande film. Andrebbe proiettato nelle scuole, nelle università, ai corsi di diritto. Sarebbe importante se il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede lo guardasse mentre ripensa alle sciocchezze dette in merito alle vittime della mala giustizia italiana. Dovrebbe guardarlo in compagnia di Nicola Zingaretti, Segretario di un Pd ormai grillizzato, e di Giuseppe Conte, Premier inerme di fronte alla distruzione del nostro Stato di Diritto. Dovrebbe guardarlo anche Mattia Santori, il ‘capo Sardina‘ che interrogato da Alesandro Sallusti sul delicato tema della prescrizione ha balbettato rispondendo in modo incomprensibile.
Ma non è tutta colpa sua, è gran parte dell’opinione pubblica italiana ad essere inconsapevole di cosa voglia dire cambiare le norme che regolano il rapporto tra i cittadini e il potere giudiziario. Ne abbiamo già parlato in un altro articolo, pubblicato sempre su VocediNapoli.it: sulla giustizia c’è ignoranza e superficialità. E la colpa è anche dei media. Richard Jewell, dunque, è un film che andrebbe visto da tutti. Soprattutto da coloro che sottovalutano cosa significhi finire ingiustamente nel tritacarne mediatico-giudiziario.
Vedere la propria vita messa alla gogna in tv e sui giornali, senza essere un personaggio pubblico o facoltoso con la possibilità di ingaggiare costosi avvocati. Nel film tutto questo è palpabile. Raramente sono uscito dalla sala di un cinema accompagnato da un turbine di emozioni così forte. Clint Eastwood mi ha fregato per l’ennesima volta. Questo genio, per me uno dei narratori della realtà più grandi che la storia del cinema abbia mai avuto, ha firmato l’ennesimo capolavoro.
Ironia, simpatia, dramma, cronaca. In questa pellicola c’è tutto. Un lungometraggio tratto da una storia vera che ha raccontato in modo sincero e coinvolgente le vite dei protagonisti. Con 89 candeline sulle spalle, riuscire a fare quasi un film vincente all’anno, non è da tutti. Eppure Eastwood ci è riuscito. La sua delicatezza, eleganza e durezza sono così spontanee da convincerci che per lui, girare un film, sia un’impresa semplice e da tutti.
Clint Eastwood, il pistolero d’eccezione. Il cowboy americano per eccellenza. L’ispettore che si fa giustizia da solo. L’inossidabile repubblicano ammiratore di quegli americani, persone comuni, che nella loro vita sono riusciti a diventare degli eroi. Protagonisti che spesso sono messi all’angolo dallo Stato e dalla giustizia.
Clint Eastwood, il narratore più dolce, democratico e liberale che esista. Che i nostri politici guardino i suoi capolavori, da Mystic River a Million Dollar Baby, fino a Gran Torino. Ce n’è per tutti: Lega, Partito Democratico e Movimento 5 Stelle. La maggior parte dei nostri politici, forse, prima di recarsi in Parlamento o a Palazzo Chigi farebbe bene a studiare. O, almeno, a guardare qualche film di Clint Eastwood. A proposito, il nome di Richard Jewell sarà poi riabilitato, ma lui ha avuto poco tempo per accorgersene: è morto a 44 anni. Grazie buon vecchio Clint per avercelo ricordato.