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Prescrizione, la dimostrazione di quanto lo Stato di Diritto abbia poca importanza

Muore il rapporto di fiducia tra potere giudiziario e cittadini, ma il dibattito pubblico è fondato sulla diatriba tra garantisti e giustizialisti

Il Governo ha compiuto un passo decisivo verso l’attuazione di una legge criminale che calpesta un diritto fondamentale di tutti noi. E lo sta facendo nel silenzio più assoluto. Solo la categoria degli avvocati (pare nessun magistrato), qualche autentico garantista, qualche raro liberale e qualche politico coraggioso, hanno alzato la voce contro questa barbarie del diritto. Nell’azione dell’esecutivo ci sono aspetti positivi, come la rivisitazione dei tempi relativi alle indagini preliminari, l’aumento dell’integrazione delle ipotesi probatorie e l’idea che le toghe entrate in politica non possano tornare ad esercitare la loro autorità giuridica.

Ma l’operazione Bonafede targata Movimento 5 Stelle che di fatto abolisce la prescrizione (dopo il primo grado di giudizio) sta segnando un momento di importante cambiamento. E lo sta facendo in modo brutale e nefasto. L’idea che la soluzione per rendere la macchina giudiziaria più rapida ed efficiente sia quella di eliminare la garanzia che un imputato ha di non restare sotto processo a vita è aberrante.

Lo è per il suo principio incostituzionale. Lo è perché sta realizzando finalmente il sogno di quella parte cattiva e maligna del mondo politico, mediatico e giudiziario. Lo è perché ha dimostrato una totale incompetenza e malafede (altro che Bona) di quella che è la lettura della realtà sociale italiana. Questo nonostante i costanti tentativi di dialogo avviati da Bonafede con tutte le categorie coinvolte dalla riforma.

Innanzitutto a via Arenula, sede del Ministero, è evidente non sono conosciuti i dati relativi alla Prescrizione: né quanti siano i procedimenti prescritti, né le fasi nelle quali i reati sono prescritti. Di fatto l’Italia è il paese dei processi lumaca. Il Belpaese è stato condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) per questo motivo. Ma l’Italia è anche il paese la cui gran parte della popolazione detenuta è in attesa di giudizio. E la maggioranza di questa bella fetta di cittadini italiani è reclusa per reati minori. L’Italia è il Paese della giustizia per ricchi. Di coloro che possono permettersi fior di avvocati per dilungare i tempi dei processi. L’Italia è il paese dell’irresponsabilità dei magistrati. Chi di loro sbaglia non paga. È anche il Paese dei magistrati fuori ruolo.

L’Italia è anche uno dei paesi nei quali si abusa della carcerazione preventiva. Ed è sempre L’Italia  ad essere il paese che ha un Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) logorato da scandali e lotte fra correnti (e di questo si è deciso di non parlarne più). L’Italia è una nazione che necessiterebbe di una riforma strutturale della giustizia. Un provvedimento che consenta di alleggerire i carichi di lavoro dei pm. Che consenta di snellirne le procedure. Che introduca nuove tecnologie nelle fasi operative dell’autorità giudiziaria. Che cambi il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Che metta a disposizione dei Tribunali nuovo personale.

Una riforma che non includa solo l’aumentare delle pene, o la creazione di nuovi reati. Perché l’Italia è il paese con più leggi in Europa. Eppure il dibattito pubblico è fermo alla banale diatriba tra garantisti e giustizialisti. Tra chi ancora continua ad accusare l’altro di essere garantista con gli amici e giustizialista con i nemici. Di chi ancora racconta il gossip relativo ai vari esponenti politici dei partiti che votano nelle Commissioni o in Parlamento.

E l’argomento, essendo comunicato in modo così vergognoso, è stato percepito dalle persone con estrema superficialità. L’ipotesi di restare imputati per sempre, il fatto oggettivo che questa legge cambierà per sempre e in modo pericoloso il rapporto tra i cittadini e il potere giudiziario, non interessa più di tanto. Nessuna protesta, nessuna alzata di scudi. Perché in Italia la giustizia non è vista e veicolata come strumento di verità. Sia nella sua funzione di condanna che di assoluzione.

La giustizia nel Belpaese è intesa come strumento vendetta. Talvolta può sembrare uno strumento per colpire chi crediamo colpevole, a prescindere dalle prove, dalle sentenze e dalle regole costituzionali basate sulla presunzione di innocenza. La giustizia non è un mezzo per incastrare ricchi e potenti, sinonimo di peccatori e corruttori bensì rappresenta una garanzia, come barriera che ci difende tutti, senza distinzione, davanti alla legge.

Da tangentopoli, in termini di rapporto tra potere giudiziario e politico, sono successe molte cose. Tanti governi hanno provato senza successo a riformare la giustizia. Sono state fatte solo piccole “leggine”, la cui validità è stata abbastanza discutibile. Tanti sono stati i cittadini (non solo politici) ingiustamente perseguiti e mai ricompensati. Tanti i leader (anche politici) attaccati dal braccio armato della magistratura. Tanti sono stati i politici che sono rimasti zitti e che hanno strumentalizzato il tema giustizia per il proprio tornaconto. Tanti sono stati i Pm di prestigio e valore denigrati da colleghi avidi di carriera e mediaticità.

Ora siamo giunti ad un limite. Ad un confine che una volta superato difficilmente ci riporterà indietro. Nel silenzio assordante nel quale giace l’opinione pubblica c’è solo una voce che ha il dovere di farsi sentire forte e chiara: quella del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. È lui l’unico argine a questa deriva politica, giudiziaria e mediatica. Dobbiamo sperare che sappia distinguersi da coloro che negli ultimi anni, a destra, a sinistra e tra i 5 stelle, hanno dato il colpo di grazia al nostro Stato di Diritto.

Prescrizione, la dimostrazione di quanto lo Stato di Diritto abbia poca importanza