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Piazza Plebiscito, Napoli esempio del black out burocratico italiano

Il ping pong tra comune, Ministero e Tar sta immobilizzando le opere pubbliche. Eppure lo scarica barile, in Italia, sembra previsto per legge

Allora, ricapitoliamo un pò l’intera questione. Per poter proseguire e si spera prima o poi concludere i lavori per la metropolitana di Napoli, in particolare della Linea 6, è necessario installare delle griglie per la ventilazione dei tunnell che ci sono sotto l’area che comprende piazza del Plebiscitopiazza Carolinapiazza Santa Maria degli Angeli.

Proprio qui ci sarà la fermata “Chiaia“, la prima dopo “Municipio“, della Linea 6 che attraverso “San Pasquale” (con fermata nell’omonima piazza) e “Arco Mirelli” (con fermata alla riviera di Chiaia), condurrà un giorno i cittadini a Fuorigrotta.

Adesso, senza considerare che per quanto riguarda piazza Santa Maria degli Angeli vi è un cratere al posto della piazza da almeno 10 anni, che fino ad ora di San Pasquale è stata aperta solo la parte superiore (cioè sono stati terminati i lavori relativi allo slargo davanti la villa Pignatelli) e che all’arco Mirelli il cantiere lavora a rilento (a causa anche del crollo di palazzo Guevara avvenuto nel 2013), l’intero progetto potrebbe subire un lungo stop motivato dallo scontro tra il comune di Napoli e il Ministero dei beni artistici e culturali (MIBACT).

Infatti, l’amministrazione cittadina ha avviato i lavori in piazza Plebiscito per installare queste famose griglie di areazione. Le analisi sono state fatte, c’è stato il confronto con la sovrintendenza e i tecnici incaricati dei vari rilievi hanno dato il loro parere positivo. Dunque, è stato allestito il cantiere, l’area recintata e i lavori avviati con l’estrazione dei primi storici basoli dalla piazza.

Ma ecco che è arrivato il primo stop del MIBACT che ha fermato i lavori e costretto il comune a fare ricorso al Tribunale amministrativo regionale (TAR). I giudici hanno dato ragione all’amministrazione che ha dunque immediatamente dato l’ok per la ripresa dei lavori. Ma il MIBACT non si è arresto ed ha disposto un nuovo stop e utilizzato la tecnica della carota e il bastone: noi vogliamo dialogare e trovare una soluzione ma se saremo costretti faremo ricorso al Consiglio di Stato. E il comune? Ovvio, ha paventato l’ipotesi di un nuovo ricorso al TAR. Nel frattempo però, il cantiere è inattivo, i lavori sono fermi e la piazza è rovinata.

Tuttavia, le cattive notizie potrebbero non essere ancora finite. Come ha ricordato Giovanni Verde in un editoriale dal titolo “Il buoio oltre i cavilli” pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno di giovedì scorso, il ping pong tra il triangolo comune – MIBACT – ricorsi potrebbe durare all’infinito senza che la cosa sia risolta. Non solo ma saremo anche costretti ad assistere ad un continuo scarica barile tra le parti.

Infatti, al di la delle non – assunzioni di responsabilità degli enti che stanno battagliando sulla pelle dei napoletani, c’è un aspetto che non andrebbe trascurato: il MIBACT può, per legge, stoppare i lavori. Ma il comune è altrettanto legittimato a farli dove gli pare senza vincoli da parte del ministero. Quindi sia il governo che l’amministrazione locale potranno andare avanti a suon di ricorsi, vincendoli tutti ma senza dare una svolta alla vicenda.

E finché non sarà trovato un accordo la questione resterà congelata. Un perfetto esempio dell’immobilismo italiano sul tema opere pubbliche, dove la burocrazia e la giustizia amministrativa sono più forti della volontà politica (dove ce ne fosse). I soliti tira e molla che bloccano il Paese e i suoi cantieri che spesso e volentieri diventano luoghi abbandonati al degrado e all’immondizia. Il rischio sarà quello di non avere più a disposizione i fondi necessari per i lavori che non saranno più fatti. Il risultato? Un disastro economico, civile e sociale che pagheranno, come sempre, i cittadini.

Piazza Plebiscito, Napoli esempio del black out burocratico italiano
foto da Il Mattino