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Umberto Adinolfi, condannato all’ergastolo il boss che ha parlato di Berlusconi e D’Alessio

La vicenda è emersa dopo le intercettazioni fatte in carcere che hanno rivelato alcune conversazioni fatte con il boss mafioso Graviano

Nel 2006 erano già dieci anni che Gigi D’Alessio non cantava più a cerimonie o a feste private: già dal ’97 riempiva stadi e palazzetti dello sport. Evidentemente qualcuno ha usato il suo nome impropriamente, forse anche a titolo di suo manager, ma comunque all’oscuro di Gigi D’Alessio“, queste le parole contenute nel comunicato stampa pubblicato dallo staff di Gigi D’Alessio come risposta alle parole intercettate al boss mafioso Giuseppe Graviano.

Quest’ultimo aveva definito il cantante napoletano “un infame perché “colpevole” di non aver voluto cantare alla comunione del figlio. Sarà lo stesso D’Alessio, durante un’intervista a Rtl con il duo Pio & Amedeo, a chiudere la vicenda: “Ho sicuramente cantato per qualche boss. Noi non sappiamo mai quando qualcuno richiede le nostre prestazioni chi sia, in ogni caso se anche lo avessi saputo non avrei rifiutato per paura“.

Le parole del boss di Cosa Nostra sono state intercettate dall’autorità giudiziaria all’interno del carcere di Ascoli Piceno durante l’ora d’aria che Graviano ha spesso trascorso insieme al capo clan di camorra Umberto Adinolfi, detto ‘a Scamarda egemone a San Marzano del Sarno. I due non hanno parlato solo di “avventure criminali” e di D’Alessio, ma tra il materiale pubblicato nei verbali del Tribunale, è spuntato anche il nome di Silvio Berlusconi.

L’ex Premier e leader di Forza Italia è stato tirato in ballo in merito ai suoi presunti rapporti con la cosca siciliana all’inizio degli anni ’90, periodo di Tangentopoli, le stragi di mafia e la sua discesa in campo che lo ha poi portato a diventare Presidente del consiglio. Tutto questo Graviano lo ha raccontato ad Adinolfi durante le loro passeggiate nel cortile della prigione. E proprio stamattina è arrivata la brutta notizia per ‘a Scamarda.

Il boss di San Marzano del Sarno è stato condannato all’ergastolo per il duplice omicidio di Vincenzo Marrandino (figlio del boss cutoliano Giovanni) e Antonio Sabia (il suo autista) avvenuto il 30 luglio del 1986 a Capaccio. Dopo 31 anni è arrivata la sentenza per uno dei casi di cronaca più eclatanti dell’epoca.

Con il boss Adinolfi è stato condannato anche Salvatore Mercurio, che il giorno dell’agguato si sarebbe recato a Capaccio a casa dello zio di Marrandino come suo ospite. ‘a Scamarda ha sempre dichiarato di non essere a conoscenza delle intenzioni di Mercurio che voleva uccidere Marrandino per vendicare alcune offese ricevute durante la comune detenzione di entrambi presso il carcere di Poggioreale.

Quando Marrandino Sabia sono arrivati sul posto, Mercurio li aveva già avvistati e si è fatto trovare armato. Quest’ultimo ha esploso diversi colpi d’arma da fuoco, poi la pistola si è inceppata, costringendo Adinolfi a completare il lavoro. Marradino è morto sul colpo, Sabia è riuscito a scappare nei campi, ma Mercurio lo ha raggiunto e con un’altra pistola che aveva in auto lo ha ucciso.