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La storia di Antonio Spavone, il primo boss della camorra napoletana

La storia della malavita di qualsiasi regione, territorio, nazione, è fatta da continui avvicendamenti di boss. Ce ne sono stati alcuni talmente famosi che di loro si è saputo tutto o quasi. Persino quella cosa personalissima che si chiama carattere. Ci son stati boss crudeli, spietati, gelidi, calcolatori, prudenti, istintivi. Totonno ‘o Malommo faceva senz’altro parte di quest’ultima categoria: i sanguigni.

Volendo essere onesti, una sola categoria in realtà gli sta stretta, perché con la maturità ha imparato ad essere molto altro, ma le premesse, la scocca, erano quelle. Antonio Spavone, detto ‘o Malomm, originario dell’Arenaccia, era un sanguigno. Il suo soprannome sembrerebbe confermarlo, ma in realtà quella era l’eredità che il nonno s’era faticosamente guadagnata a spese di molti malcapitati.

Si dice che un giorno un’intera famiglia gli avesse teso un agguato sotto casa. Lui, il nonno, accortosi di loro, prese un rampone per tonni e li malmenò selvaggiamente uno per uno, fino a lasciarli esanimi per terra. Tutti. Si parla persino di una donna incinta, di cui lui, Ciro da quel giorno ‘O Malomm, non ebbe alcuna pietà. Nessuno poteva permettersi di contestarlo, senza conseguenze tragiche.

Il soprannome passò a suo nipote Carmine. Carmine aveva una banda tutta sua, e non avrebbe avuto difficoltà ad imporsi su Napoli, se non fosse stato per una banda altrettanto ben organizzata, anzi, sicuramente meglio organizzata, comandata da Giovanni Mormone, detto ‘O Mpicciuso (l’attaccabrighe).

‘O Mpicciuso si era accaparrato una fetta ricchissima dei mercati illeciti napoletani: quella del contrabbando delle sigarette con gli americani. Sigarette, americani, questo riporta l’immaginazione di tutti noi ad un’Italia post-bellica. E infatti è così. Siamo nel 1946 e ‘O Mpicciuso comincia ad essere un serio ostacolo alle mire egemoniche di Carmine.

Il fratello di Carmine questo lo sapeva bene, il giorno in cui incontrò O’ Mpicciuso al bar, gli sedette accanto, e non lo degnò di un saluto. In certi ambienti questa non è semplice maleducazione. Questo è affronto. Quando ‘O Mpicciuso si rivolge al fratello di Carmine, chiedendogli conto di quel saluto mancato, la risposta arriva.

Un ceffone di quelli che risuonano per giorni. Risuonano per la forza, per il gesto, per l’onta, per il parlarne dei testimoni. Per le conseguenze. ‘O Mpicciuso quello schiaffo se lo segnò, e non poteva essere diversamente da così. Non foss’altro che quello schiaffo proveniva dal fratello del suo rivale in affari. Da un diciannovenne. Un ragazzino di nome Antonio Spavone.

Non passarono molti giorni da quando ‘O Mpicciuso si recò da Carmine ‘O Malomm per chiedere conto, stavolta, dello schiaffo ricevuto dal fratello. Carmine se ne tira fuori. Se ha qualcosa da dire al fratello, gliela vada a dire di persona, ma ci vada accompagnato, altrimenti di schiaffoni ne prenderà ancora.

‘O Mpicciuso non accettò di essere trattato dagli Spavone a pesci in faccia. Un giorno, mentre Carmine stava andando a messa con i suoi due figli, gli si parò davanti insieme a due scagnozzi armati. Carmine intuì immediatamente la situazione, spinse via i bambini, ed estrasse la pistola. Ma ebbe la peggio. Morì di lì a poco.

La Polizia, non senza difficoltà, prelevò il corpo di Carmine per poter effettuare l’autopsia. Il fratello Antonio venne a saperlo, approntò un piccolo esercito di volontari per forzare le porte dell’obitorio, e si riappropriò della salma. La polizia fu costretta a trattare per riavere indietro il corpo, con la promessa che finiti gli accertamenti, l’avrebbe reso alla famiglia.

Nel frattempo la mente di Antonio era percorsa da due sole sensazioni: dolore, e vendetta. ‘O Mpicciuso lo sapeva bene, se decise di organizzare un agguato per chiudere la faccenda Spavone per sempre. Era la festa di matrimonio della sorella di Antonio, Maria Spavone. ‘O Mpicciuso e i suoi irrompono nel locale scaricando tonnellate di piombo.

Antonio riuscì a trovare riparo, e passando furtivamente dalla cucina ad un piccolo corridoio, spuntò alle spalle di Giovanni Mormone, che smise di essere ‘O Mpicciuso dopo le 13 violentissime coltellate che Antonio gli inferse, con una rabbia e una ferocia disumana. Vendetta servita per il fratello, per gli Spavone. E un nuovo Malomm sulla piazza vuota. Totonno. Siamo nel 1945.

La polizia si mise subito sulle sue tracce, ma Antonio era sparito. Per trovarlo la polizia torturò (letteralmente) il fratello Giuseppe, il quale tradì Antonio rivelando il luogo della sua latitanza, ma per la vergogna lasciò Napoli e si trasferì in America. ‘O Malomm venne quindi prelevato e portato a Poggioreale. La sua impresa non era passata sotto silenzio, e fu accolto dai detenuti come un re.

E non solo dai detenuti. Fu servito e riverito da tutte le guardie, con privilegi da grand’hotel. Vestaglie di seta, coperte di lino, pantofole di velluto, spettacoli teatrali, canzoni napoletane, pesce fresco, pesce vivo, pranzi sbalorditivi fatti recapitare dai ristoranti che salutavano così il nuovo astro nascente della camorra.

Nel 1966 era stato trasferito al Carcere delle Murate, a Firenze. In occasione dell’alluvione il carcere diventò una trappola, da cui Totonno ‘O Malomm estrasse vivi due compagni di cella, trovando anche il tempo di impedire lo stupro di due detenute e di una guardia penitenziaria ad opera di un paio di mafiosi calabresi, che come sua abitudine, schiaffeggiò senza la minima esitazione.

Queste dimostrazioni di generosità ed eroismo gli valsero l’immediata grazia. ‘O Malommo era fuori. Ma rischiò di esser fuori anche dentro la sua Napoli, che così sua più non era. Raffaele Cutolo, il boss della Nuova Camorra Organizzata, che aveva condiviso il carcere con Totonno nel ’63, stava prendendo sempre più piede. Per non parlare della mafia, che assoldava tra i suoi picciotti sempre più napoletani, e tra i suoi interessi, sempre più affari nella città partenopea.

‘O Malommo cercò di mettere ordine provando la via diplomatica della spartizione territoriale. Ma quando un suo amico gli chiese aiuto perché minacciato dalla mafia, ad Antonio Spavone ricominciò a bollire il sangue. Si presentò da solo nel ristorante di Santa Lucia, ritrovo storico dei mafiosi a Napoli, e dimentico delle trattative di pace, prese i presenti a maleparole, e sancì che d’ora in avanti la mafia a Napoli sarebbe stata turista, e nulla più.

I siciliani, sul momento, non reagirono. Prudenti. Pochi giorni dopo qualcuno sparò un colpo di lupara in pieno volto a Totonno ‘o Malommo, staccandogli il naso, metà faccia, e lasciandogli un occhio penzolante. Ritenendolo morto, gli attentatori si allontanarono. E ‘O Malomm, ancora una volta miracolosamente vivo, si fa ricostruire la faccia in America, ospite di suo fratello Giuseppe.

Mentre Antonio era in America, in Italia si tenne un processo a suo carico, che lo vedeva indagato per l’omicidio del suo amico Gennaro Ferrigno. Gli inquirenti avevano individuato il movente nel traffico di droga. La difesa sosteneva si fosse trattato di legittima difesa, per una questione di corna. I giudici diedero ragione ad Antonio, scagionandolo dalle accuse.

Nel ‘79 ‘O Malomm tornò operativo in una villa di Ischia, che condivideva con la moglie di Ferrigno (dopotutto, la sentenza dei giudici, sembrava aver colto nel segno). La villa divenne il suo nuovo quartier generale, punto di incontro di un numero indefinito di boss con i quali Totonno avrebbe tenuto incontri per ridimensionare le ambizioni dei seguaci di Cutolo, che sembravano non fermarsi di fronte a niente.

Quell’andirivieni di personaggi poco trasparenti insospettì nuovamente le forze dell’ordine. Nell’84 ‘O Malommo venne nuovamente arrestato, e si proclamò innocente: “Se fossi il capo dei capi dovrei essere ricco a miliardi e, invece, sono povero come gli accertamenti patrimoniali hanno dimostrato. A Ischia venivano in tanti perché in tanti mi rispettano e mi vogliono del bene. Dopo essere stato in America tra Chicago e New York era un gesto di cortesia venirmi a salutare e, d’altronde, dopo ventisette anni di galera conosco tanta gente che ha sbagliato e non dimentico perché sono i più sfortunati come sfortunato sono stato io“.

La detenzione durò due anni. I detenuti non lo rispettavano più come una volta. Era lui, però, che continuava a farsi rispettare come se gli anni non gli fossero mai piombati addosso. I giovani che tentavano di sfidarlo e provocarlo, ricevevano la reazione di chi si sente un intoccabile. E infatti dal carcere uscì illeso. Perché ancora una volta Antonio Spavone la spuntò. Le accuse caddero. Nel 1993 altre accuse, altra assoluzione. Ma fu l’ultima delle sue fortune. Al cancro Totonno ‘O Malommo si arrese, il 5 maggio del 1993.