L’ennesimo grido di aiuto, parole che trasudano non solo dolore ma soprattutto dignità. Un valore che questa famiglia non ha perso e che anzi sbatte in faccia alle istituzioni sorde e cieche rispetto a determinate problematiche. I problemi denunciati sono gravi e parlano di due aspetti: il primo riguarda l’economia e il lavoro, l’altro è relativo al limbo in cui sono costretti a vivere le persone con specifiche disabilità.
Questa è la storia di A. Z. (per motivi di privacy non possiamo indicare il nome per intero), un normale padre di famiglia che oltre a combattere tutti i giorni per affrontare la dura sfida che riguarda la figlia (affetta da Distrofia Muscolare tipo Becker-DMB), dal 2013 è rimasto senza un lavoro, situazione che per un uomo di 43 anni è più che difficile. La vicenda è emblematica perché non circoscritta soltanto all’aspetto economico. Infatti, l’Italia è un paese con una legislazione che non è al fianco dei disabili. Basta pensare ai divieti e alla non regolarizzazione dei dispositivi in ambito di una ricerca scientifica efficace ed efficiente, o al tema delle barriere architettoniche che non sono a norma nel nostro paese.
Vani i diversi appelli lanciati al mondo della politica locale, ai media e a imprenditori che avrebbero potuto aiutarlo nel provare a risolvere questa triste questione. Ma il problema non è che il sostegno non sia arrivato (non era obbligatorio) ma che non è giunta alcuna risposta. Per questo come giornale ci sentiamo in dovere di pubblicare questa storia, perché anche se probabilmente non servirà a molto, se sarà letta, potrà almeno favorire la diffusione di un messaggio: ci sono persone che a causa di particolari condizioni vanno ascoltate e magari aiutate, invece vengono costantemente dimenticate.
LA LETTERA DEL NOSTRO LETTORE
“Gentile direttore, le scrivo sperando che questa lettera, pubblicata, smuova le acque. Ci sto provando da tre anni e nessuno mi ascolta. Ma io sto ancora qui!
Spero che accettiate di pubblicare la mia storia: una vera e propria richiesta di aiuto in modo da far conoscere ancora di più e ad un numero maggiore di persone la nostra vicenda, nella speranza che qualcosa migliori.
Di “speranza “, specialmente dopo determinati episodi che si sentono e si vedono sempre più frequentemente , dopo che le persone grazie a questo Stato che non ci aiuta preferiscono togliersi la vita, ne abbiamo tanto bisogno, in questi tempi che appaiono oscuri, in cui a volte ci sentiamo smarriti davanti al male e alla violenza che ci circondano,in questi tempi dove davanti al dolore, alla sofferenza , ci sentiamo persi e anche un po’ scoraggiati, perché ci troviamo impotenti e ci sembra che… questo buio non debba mai finire.
E non si tratta solo delle discriminazioni in cui ci troviamo a vivere ogni giorno noi famiglie “disabili”: molte di queste le risolviamo con il nostro ingegno. Ma purtroppo non tutti gli ostacoli possono essere superati con la buona volontà ed è per questo che chiedo il vostro interessamento.
Anzitutto ringrazio Dio per tutto quello che ho: mia figlia è la cosa più bella che mi ha donato.
A volte può succedere che la malattia soprattutto quella grave, quella che non ha soluzioni, metta in crisi e porti con se interrogativi che scavano in profondità. Il primo istinto può essere quello della ribellione, perché a me è capitato! Ma bisogna avere fede mi dico, andando avanti.
Serena ha una malattia che la mortifica, la limita nei movimenti: ha la Distrofia Muscolare tipo Becker (DMB). (Attualmente non esiste alcuna possibilità di cura che conduca alla guarigione ma solo terapie che permettono di prevenire le contratture, di migliorare la postura e di contenere asimmetrie, lordosi e scoliosi, ndr).
E’ una malattia che ho definito scostumata, senza educazione, che non ti avverte quando viene a trovarti, ma che fino ad oggi fa la visita di cortesia e se ne va dandoti appuntamento alla prossima volta. Ma dobbiamo conviverci per forza, non abbiamo alternative. Anzi più lei è aggressiva e cattiva più noi la combattiamo con forza. Perché la malattia non porta via le emozioni, i sentimenti, la possibilità di capire che la persona vale molto di più del fare. Insomma la sofferenza ci ha reso più forti, il non volersi arrendere è diventato un valore aggiunto nel nostro percorso di vita. Questo fino al dicembre 2013, quando sono incominciati i nostri problemi: fino a quel momento non ci potevamo rimproverare di niente e neanche la malattia ci faceva paura.
Ma dall’oggi al domani mi sono trovato senza lavoro e a capire piano piano che a 43 anni il mondo può anche finire e che per me sta diventando un problema anche portarla alla Antares a Caserta per fare le terapie.
Ho cercato di parlare col sindaco, ho lanciato una petizione a mio nome su change.org, ho inviato curriculum, richieste di aiuto a tutti gli imprenditori, televisione: ma ad oggi nessun risultato. Ho parlato con l’assistente sociale del mio Comune, con la responsabile dei lavori socialmente utili, agenzie di lavoro interinali ma ho ricevuto solo non risposte che sono sinonimo di una indifferenza che fa paura. Ricevere risposte del tipo ; “Vi faremo sapere, non vi preoccupate, al più presto vedremo, i tempi sono maturi , mi invii il suo curriculum”, tanto per, hanno dell’ inaccettabile!!!
E allora mi sono domandato cosa posso fare per cercare di scuotere la coscienza di qualche brava persona che in qualche modo comprenda il problema e mi dia la possibilità di tornare a fare quello che ho sempre fatto? Tornare a lavorare e a pensare a fare, ogni giorno, qualche cosa in più per mia figlia. Per arrivare a non dovermi rimproverare un giorno che lo potevo fare e che per mentalità non l’ho fatto.
Cerco insomma qualche anima buona che ci aiuti a non arrenderci“.