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Storie di Napoli: Suor Giulia e la scandalosa setta della “carità carnale”

Molte sono le storie di Napoli, storie di mistero, di culto, di amori passionali e legate alla simbologia sacra, ma questa è molto particolare e poco raccontata perché lega il sacro alla sfera “intima”, è la storia di suor Giulia e della setta della “carità carnale“. Siamo nel lontano 600, in una Napoli bigotta, sotto il vice regno spagnolo, dove la vicenda destò enorme scandalo.

Le origini. Nel 1603 la francescana Giulia de Marco incontrò padre Aniello Arcieri, un uomo molto bello che durante le confessioni aveva con la donna rapporti intimi; nella vita dei due entrò poi una terza persona: un altro uomo, Giuseppe de Vicariis. I tre costituiranno un triangolo perfetto e in breve tempo metteranno in piedi un’organizzazione, una setta molto particolare in quanto Padre Aniello persuase la suora facendole credere di essere la prescelta del nuovo verbo, un dono da comunicare agli altri, la cui sapienza deve essere divulgata, così la donna cominciò a raccontare di avere visioni e per tutti divenne la «Madre».

La divulgazione avveniva però non con la preghiera, ma con un rito alquanto inusuale, quella che sarà chiamata “carità carnale”: essendo Giulia considerata “santa”, l’adorazione del suo corpo era considerata sacra e potevano “adorarla” solo uomini e donne giovani.  L’atto sessuale vissuto come estasi spirituale fece crescere la fama della confraternita, infatti in un’indagine dell’epoca si annoveravano tra gli adepti nomi prestigiosi legati anche alla Corte spagnola.

Lo scandalo. L’inquisitore locale, il Vescovo di Caserta, Deodato Gentile, cominciò ad avere sospetti ed aprì un’inchiesta, lo scandalo scoppiò subito gettando fango sul clero e sull’aristocrazia, suor Giulia fu spedita a Nocera e padre Arciero mandato in esilio nello Stato Pontificio. Il Santo Uffizio condusse i tre creatori della setta in processo con accuse gravi di eresia e diavoleria; dopo aver subito lunghe torture tre abiurarono confessando il peccato ed evitando il rogo. Finirono i loro giorni nelle prigioni di Castel Sant’Angelo mettendo fine a una delle storie di Napoli più scandalose.