Sono una serie di episodi che stanno portando al sollevamento della crosta della caldera dei Campi Flegrei. Lo riporta lo studio “Potential for rupture before eruption at Campi Flegrei caldera in southern Italy” pubblicato su ‘Communications Earth and Environment’ di Nature, condotto da ricercatori dell’University College London (UCL) e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).
Secondo lo studio la crosta della caldera flegrea sta passando un progressivo passaggio da una fase “elastica” a una “inelastica”. “In quest’ultima fase”, afferma Christopher Kilburn dell’UCL, “ogni aumento di sforzo associato al continuo sollevamento viene immediatamente liberato sotto forma di terremoti. Sulla base di nostre precedenti ricerche”, ricorda Kilburn, “nel 2016 avevamo ipotizzato l’incremento di sismicità, effettivamente verificatosi a partire dal 2019. Questo risultato ci ha incoraggiato a continuare sulla strada intrapresa e dimostra quanto sia importante studiare i Campi Flegrei attraverso questo nuovo approccio che ci dà informazioni sul livello di fratturazione della crosta”.
“Lo studio”, afferma Stefano Carlino dell’Osservatorio Vesuviano dell’INGV (INGV-OV), “evidenza che, nonostante il livello del suolo raggiunto oggi sia superiore di oltre 10 cm a quello raggiunto durante la crisi bradisismica del 1984, la deformazione inelastica sta avvenendo con un livello di sforzo inferiore rispetto al 1984. Questo risultato suggerisce che, nel corso degli episodi di sollevamento della caldera dei decenni passati si sono progressivamente prodotte modifiche dello stato fisico della crosta e che questi cambiamenti non possono essere trascurati nello studio della dinamica vulcanica in atto e nelle sue evoluzioni future”.
Lo studio sui Campi Flegrei
“Nello studio”, afferma Stefania Danesi della Sezione di Bologna dell’INGV, “dimostriamo che gli episodi di sollevamento ai Campi Flegrei dal 1950 a oggi devono essere considerati come fasi di un unico processo di lungo termine in cui la recente transizione da regime “elastico” a “inelastico” segna un passaggio rilevante”.
“I nostri risultati”, osserva Nicola Alessandro Pino dell’Osservatorio Vesuviano dell’INGV (INGV-OV), “sono basati sull’elaborazione di un modello scientifico in cui i parametri osservati permettono di ipotizzare scenari di evoluzione della fratturazione delle rocce e quindi della sismicità. Nello scenario più critico, la persistenza del regime inelastico potrebbe portare alla rapida fratturazione degli strati crostali più superficiali, con precursori che potrebbero essere meno intensi di quanto generalmente attesi in caso di risalita di magma. Tuttavia, la riattivazione progressiva e diffusa di fratture potrebbe causare la depressurizzazione del sistema idrotermale, con arresto del sollevamento del suolo e, quindi, la ripresa della lenta subsidenza”. Al momento i risultati della ricerca non hanno alcuna implicazione diretta su misure che riguardano la sicurezza della popolazione.