Il vulcanologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia Giuseppe Di Natale è stato intervistato da Il Corriere del Mezzogiorno in merito alla recente attività sismica dell’area dei Campi Flegrei. Il bradisismo è caratterizzante di una delle caldare più pericolose. Un vulcano ritenuto potenzialmente distruttivo dagli esperti. Le scosse di terremoto percepite quasi quotidianamente fanno parte però di un’attività ordinaria.
L’intervista integrale
Professore Giuseppe De Natale, lei è un vulcanologo dell’Ingv con una grande conoscenza dei Campi Flegrei. Dunque: l’attività sismica nell’Area flegrea sta aumentando come lei stesso aveva ipotizzato in uno studio, assistiamo a terremoti sempre più forti e con maggiore frequenza. Cosa sta succedendo?
«Innanzitutto voglio precisare che quanto dirò in questa intervista non rappresenta necessariamente la posizione ufficiale del mio istituto, né di qualunque altra istituzione. È semplicemente il mio personale pensiero, basato sulle mie ricerche e pubblicazioni da circa 40 anni. L’attività sismica può solo aumentare finché continua il sollevamento del suolo. Perché il sollevamento del suolo è un’indicazione dell’aumento di pressione nel sottosuolo. Lo scrivemmo già nel 2017, ed avvisammo che la sismicità, allora molto rara e di bassa magnitudo, sarebbe aumentata progressivamente: in numero ed in magnitudo. Oggi siamo quasi al livello della sismicità del periodo 1982-1984. Non siamo ancora a quel livello soltanto perché, come abbiamo osservato già dagli anni ’80, la sismicità in quest’area, oltre che dal livello di pressione interna, dipende anche dal tasso di incremento della pressione, ossia del sollevamento. Nel bradisisma degli anni ’80, il tasso di sollevamento era oltre 5 volte maggiore di oggi, e quindi anche la sismicità era maggiore».
Abbiamo ormai superato il punto di massimo sollevamento registrato nel precedente bradisismo ma la terra continua a lievitare, se lo aspettava?
«Il sollevamento del suolo iniziato alla fine del 2005 è quasi perfettamente speculare all’abbassamento osservato dal 1985 al 2003 circa. Quindi, personalmente speravo che sarebbe terminato una volta raggiunto il livello del 1984. Negli ultimi mesi invece abbiamo superato la quota massima del 1984, ormai siamo diversi centimetri più sopra».
Secondo lei ci troviamo adesso in una situazione più rischiosa rispetto a uno o due anni fa?
«Il problema è che oggi, superato il valore massimo recente ottenuto nel 1984, il livello del suolo, e quindi verosimilmente il livello della pressione interna, è il più alto che abbiamo mai sperimentato, almeno negli ultimi due secoli. È chiaro che la resistenza delle rocce non è infinita, ma noi non sappiamo con esattezza qual è il punto critico, di non ritorno. Ci troviamo dunque in una situazione non sperimentata prima. In ogni caso, il degassamento continuo che osserviamo da 17 anni, che provoca il riscaldamento degli acquiferi e dunque l’aumento di pressione interna, è quasi certamente dovuto ad un afflusso progressivo di magma più profondo nella camera magmatica principale, localizzata a 7-8 km di profondità».
Che cosa può comportare il riempimento magmatico del serbatoio a 7/8 chilometri di profondità?
«Come mostrano i modelli teorici presenti in letteratura, per causare grandi eruzioni da una camera magmatica profonda, i processi di riempimento magmatico possono durare centinaia o migliaia di anni. È anche vero però che il magma può risalire a livelli più superficiali (circa 3 km, come molto probabilmente è accaduto tra l’82 e l’83) e rendere quindi più probabili eruzioni di piccola taglia. A mio parere, oggi non c’è evidenza della presenza di intrusioni magmatiche a bassa profondità».
So che è una domanda complicata, ma realisticamente quale scenario dobbiamo aspettarci a breve e medio termine?
«Questo non può saperlo nessuno. Possiamo dire solo con certezza che, finché perdura il sollevamento del suolo, la sismicità potrà solo aumentare. Dopo di che, oggi non c’è evidenza di intrusioni magmatiche superficiali, e questo è un bene. Ma è chiaro che in futuro, anche a breve scadenza, non possiamo escludere che tali intrusioni non avvengano».
È possibile che nei prossimi cento anni si possa verificare una eruzione con emissione di ignimbrite quindi particolarmente disastrosa?
«In questi fenomeni naturali non si può dire nulla con certezza. È estremamente improbabile, prima di tutto perché è raro che una caldera generi più eruzioni ignimbritiche; poi perché, da modelli teorici, le eruzioni ignimbritiche da collasso calderico si preparano in diverse centinaia o migliaia di anni di continuo afflusso magmatico. Bisogna anche considerare che il magma, specialmente se parliamo di intrusioni superficiali, con il tempo si raffredda. L’intrusione che quasi certamente c’è stata tra l’82 e l’83, essendo di forma laminare (sill) si è solidificata in meno di vent’anni. Quindi, bisogna anche considerare il tasso di afflusso di magma, sia perché parte della pressione può essere assorbita da un comportamento viscoso delle rocce, sia perché appunto il magma ha tempi di solidificazione che, nel caso di intrusioni laminari, possono essere abbastanza brevi. Per fare un esempio abbastanza emblematico, il sollevamento totale avvenuto durante oltre un secolo prima dell’eruzione di Monte Nuovo, implica un’intrusione superficiale di magma di alcuni chilometri cubi; ma alla fine, l’eruzione ha prodotto soltanto due centesimi di chilometri cubi di magma. Questo vuol dire che, negli oltre cento anni di sollevamento, la grande maggioranza del magma progressivamente intruso si era già solidificato prima dell’eruzione».
Alla luce di quello che stiamo dicendo cosa bisognerebbe fare per prevenire il rischio?
«Bisogna rendere le aree a più alta pericolosità (prima di tutto la zona rossa) effettivamente resiliente. Questo significa innanzitutto consolidare gli edifici (per renderli quanto più resistenti alla sismicità associata, che sebbene non molto forte può causare danni ad edifici particolarmente fatiscenti) e razionalizzare la rete viaria. Dopodiché, è chiaro che anche diminuire la densità di popolazione sarebbe importante. Abbiamo scritto vari lavori scientifici su questo problema, e sarebbe qui molto lungo riassumerli al di là di questi elementi più ovvii».