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Antonio Artiano, parla il papà del cognato arrestato: “Antonio picchiava mia figlia”

Antonio Anthony Artiano è rimasto gravemente ferito lo scorso 10 novembre. Sei giorni dopo è deceduto all’ospedale del Mare dove era ricoverato. Il giovane, appena 23enne, non ha perso la vita a causa di un agguato camorristico. E neanche accidentalmente. Dalle indagini è emerso che la sua morte è collegata ad una questione familiare. Coinvolto il cognato, appena 20enne. Ieri quest’ultimo è stato arrestato.

I fatti sono accaduti a Soccavo, quartiere dell’area Ovest di Napoli. Pare che di sfondo all’omicidio vi sia una storia fatta di violenze domestiche e dissidi familiari. A contrapporsi due schieramenti, quello della famiglia Artiano (legata al ras Scognamillo, a sua volta vicino al clan Grimaldi) e quello della famiglia della sua fidanzata. Il papà della ragazza ha rilasciato alcune dichiarazioni a Fanpage.

Mia figlia aveva avuto una relazione con Anthony ma lui la picchiava. La veniva a prendere a casa nel cuore della notte, mentre dormiva, spesso la faceva tornare coi segni delle violenze. Un nostro parente ha visto le registrazioni di un esercizio commerciale della zona, risalenti a qualche giorno prima: l’ha picchiata per venti minuti per strada. Era una situazione che conoscevamo bene e che avevamo sperato di risolvere parlandone tra famiglie. Abbiamo sbagliato a non rivolgerci subito alle forze dell’ordine.

Mentre eravamo in quella casa è arrivato Anthony. La situazione è trascesa e ne è nata una colluttazione. Il ragazzo ha tirato fuori una pistola e ha esploso almeno un colpo, altri li ha sparati per le scale. Io mi sono lanciato su di lui per bloccarlo, gli ho messo un giubbino sulla testa e lui, nel divincolarsi, ha sparato. Ho sentito il colpo e ho visto la fiammata vicino a me.

Lui è arrivato quando il litigio era già in corso, ha ammesso di essere stato armato, ha raccontato anche dove aveva preso quella pistola, che non era sua ma io non ho visto quell’arma. Lui oggi è in carcere, domani verrà interrogato. Se davvero ha sparato lui, è giusto che paghi. Ma che paghi per un omicidio tenendo conto delle circostanze, non che passi come un killer di camorra: è un ragazzo incensurato, lavora nel nostro bar, se quel giorno ha deciso di prendere una pistola è stato per paura, per difendersi.

In quella casa c’erano quattro telecamere lo so per certo. Ho visto il monitor con i quattro schermi e sono sicuro anche che registrassero: i parenti di Anthony precedentemente mi avevano fatto vedere delle scene di mia figlia che tornava a casa, quando i due convivevano. La Polizia però non ha trovato niente. Che fine hanno fatto quelle telecamere? Se si recuperassero si vedrebbe tutto quello che è successo: se mio figlio era armato, ma anche se, come sosteniamo noi, lo era anche Anthony

Ci avevano già minacciato mi hanno sfondato l’auto in quei momenti. Abbiamo aiutato a caricare il ragazzo su un’automobile, per farlo portare in ospedale, poi siamo scappati, abbiamo viaggiato fino a notte fonda. Ma non abbiamo mai voluto sottrarci alla giustizia: il mattino dopo siamo andati dai carabinieri e abbiamo raccontato tutto, e poi ci siamo messi in contatto con la Polizia di Napoli. Siamo sempre stati a disposizione delle forze dell’ordine, dal primo momento“.