Di Maio voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno. In parte ci è riuscito, poi si è insediato con le sue truppe. E non vuole andarsene
Cambiare idea non è mai un delitto, anzi è spesso un segnale di maturità. Il sospetto che lo si faccia per convenienza sorge quando il cambiamento è estremo. Anzi radicale e soprattutto se esso avviene in tempi molto brevi. Per questo il ‘nuovo’ Luigi Di Maio non convince nessuno. Anzi irrita tanto l’opinione pubblica.
Di Maio è sempre stato il grillino di palazzo, l’antitesi di Roberto Fico e Alessandro Di Battista. Un leader del Movimento 5 Stelle arrivato da Pomigliano d’Arco nei palazzi romani del potere grazie alla discutibilissima macchina-selezionatrice della futura ‘classe dirigente’ messa a punto da Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo: la benamata e ormai abbandonata piattaforma ‘Rousseau‘.
Luigi Di Maio
La sua carriera è stata fulminante: vice premier e ministro fino a ricoprire uno dei dicasteri più importanti: quello degli Esteri. Così Di Maio, soprattutto alla ‘corte’ di Mario Draghi, ha incarnato una delle metamorfosi politiche più straordinarie degli ultimi anni.
Da antagonista delle istituzioni e della politica, da corteggiatore dei Gilet gialli, da ‘nemico’ del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da ‘abolitore’ della povertà, da anti americano e anti europeista, Di Maio è diventato: un fedele ammiratore della politica e della Costituzione, un inossidabile atlantista ed europeista avversario di Putin e Orban, alleato di ferro del Partito Democratico (quello di Bibbiano), inossidabile veneratore del Quirinale e aspirante revisore del reddito di cittadinanza.
La metamorfosi
Possiamo raccontare la parabola politica di Di Maio attraverso alcune immagini: quella insieme ai ‘ribelli’ francesi, quella affacciata al balcone dopo l’approvazione della legge sul sussidio e infine – l’ultima – quella nella quale è sollevato ‘in volo’ dallo staff della Trattoria Nennella a Napoli.
Nel capoluogo campano il Ministro degli Esteri ha svolto un mini tour elettorale, andando anche a Pianura da Peppe Di Napoli. La sua lista ‘Impegno Civico’ è data all’1% e se Di Maio sarà eletto dovrà ringraziare il Pd e il democristiano Bruno Tabacci che gli ha prestato il simbolo. Che credibilità politica può avere una persona del genere? Per carità non sono in dubbio le sue capacità di apprendimento: in tempi rapidi ha capito come gestire e condurre i giochi di potere (memorabile la ‘faida’ con Giuseppe Conte culminata nella scissione dal Movimento 5 Stelle).
Quale credibilità?
Ma il rischio che di lui venga ricordata solo la presa in braccio nel locale dei Quartieri Spagnoli è molto alto.

