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Avellino, i fidanzati-assassini e il favoreggiamento delle famiglie: aggressione brutale, Aldo aveva provato a difendersi

La Procura di Avellino si concentra ora sull’ipotesi di favoreggiamento delle famiglie di Giovanni Limata, 22 anni, ed Elena Gioia, 18 anni. I fidanzati assassini accusati di aver ucciso il padre della ragazza, Aldo Gioia, 53 anni. Proprio nella giornata di lunedì il medico Legale ha colto altri elementi che confermano la brutale aggressione avvenuta tra la notte di venerdì e sabato. Aldo è stato colpito con ben 14 fendenti, anche su caviglie e braccia oltre che al torace dove una pugnalata ha trafitto il polmone non lasciando scampo alla vittima. Aveva provato a difendersi, ma evidentemente la violenza e il non aspettarsi l’aggressione in casa propria hanno reso l’uomo quasi inerme. A portare a segno il delitto il fidanzato della figlia minore, guidato proprio da lei nell’abitazione. Ora i due fidanzati-assassini non parlano, si avvalgono della facoltà di non rispondere.

La ricostruzione del delitto di Avellino

Secondo quanto riporta l’edizione odierna del Mattino, Elena ha avuto un ruolo fondamentale nel delitto del padre. Non solo per una settimana intera ha premeditato l’assassinio del papà e la strage dell’intera famiglia, ma quella notte di venerdì avrebbe aperto il portone a Giovanni conducendolo in casa. Proprio in quella casa c’era Aldo, appisolato sul divano come tutte le sere, quando il killer l’ha colto alla sprovvista accoltellandolo più e più volte. Poi le grida, l’agitazione, troppo rumore per non svegliare il sonno delle altre due inquiline: Liana Ferraiolo, la madre di Elena, ed Emilia, la sorella maggiore. Le due donne sono accorse nel salone e hanno assistito agli ultimi strazianti momenti della scena. Da lì le scuse di Elena, la volontà di dire che si fosse trattata di una rapina andata male, di mentire. La reazione di Giovanni che non porta avanti il piano, non termina la strage, ma scappa via lasciando dietro sé macchie di sangue e portando il coltello insanguinato. Un susseguirsi di attimi che sono tutti da ricostruire.

Il ruolo delle famiglie Limata e Gioia

E’ proprio al culmine dell’assassinio che entrano in gioco le due famiglie. Da un lato i Gioia. La madre di Elena che in un primo momento chiama ambulanza e forze dell’ordine, ma poi appoggia le menzogne della figlia che agli inquirenti parla di una rapina andata male. Solo la notizia della morte del marito mette fine a quelle bugie che gli inquirenti avevano ben compreso fossero. I punti oscuri riguardano proprio questi momenti: Liliana ha mai creduto alla figlia? Ha visto Giovanni ancora in casa? Le risposte date non convincono, sono confuse.

Dall’altro lato c’è poi la famiglia Limata. Innanzitutto c’è probabilmente qualcuno che avrebbe condotto Giovanni a Cervinara, dove abitano i genitori, dal momento che il 22enne non ha la patente. In secondo luogo c’è l’assoluto silenzio della mamma e del papà dell’assassino che, alla vista del figlio in casa con gli abiti insanguinati, non hanno avvertito le forze dell’ordine. Solo l’arrivo in casa dei poliziotti e la perquisizione hanno fatto emergere la realtà e con essa l’arma del delitto: il coltello insanguinato custodito da Limata nel suo armadio.

Anche la reazione alla difesa dei due figli è stata presa in modo diverso dalle famiglie. Entrambe hanno cambiato i legali, ma mentre la scorsa mattina all’udienza di convalida degli arresti mancavano i familiari di Giovanni, erano presenti quelli di Elena: la madre, la sorella e i due fratelli di Aldo, Gaetano e Giancarlo Gioia. Proprio quest’ultimo ha parlato di Aldo come di  “un padre esemplare, un uomo per bene che vive per le figlie e per la moglie”.

Oggi ci saranno i funerali di Aldo Gioia nella chiesa di San Ciro.