Dopo i vari video che Federico Ciontoli ha iniziato a pubblicare su un neo-profilo Facebook in cui ha spiegato che chiarirà alcuni punti che, a detta sua, sarebbero stati distorti in quello che definisce ‘processo mediatico’, anche la sua compagna, Viola Giorgini ha scelto di tornare a parlare. L’ha fatto in vista dell’udienza in Cassazione del prossimo 3 maggio, attraverso una lettera – pubblicata in esclusiva da Il Dubbio – ha voluto spiegare il dolore provato da lei e Federico in tutti questi anni.
La lettera di Viola Giorgini
“Il 3 maggio si deciderà la sorte del processo, si deciderà se davvero tutta la “famiglia Ciontoli” voleva o meno la morte di Marco. Si parla di omicidio volontario, quindi si sostiene che volessero la morte di Marco, questo non è vero! Io c’ero e questo non è vero! In tanti credono di avere la verità in pugno, in tanti continuano a credere che esista un segreto, ma loro quella sera non c’erano…loro sono gli stessi che aspettano da noi un segnale di umanità, senza pensare quanto sia difficile esternare pubblicamente i propri sentimenti per far comprendere a chi, ancora oggi, si esprime augurandoci la morte. Tante persone non pongono domande ma predicano ed esprimono sentenze, senza domandarsi mai come si sarebbero comportati in una situazione come quella, senza cercare di capire quali siano state realmente le condizioni di quella sera (…)“.
Viola nel rispondere a chi ha accusato lei e Federico di non aver mostrato umanità in questi anni, ha spiegato: “(…) Io e Federico abbiamo avuto paura di esporci, l’avremmo sempre voluto fare ma non sapevamo da dove iniziare e la verità è che tutt’ora non lo sappiamo. Io capisco che sia difficile credere ora alla nostra buona fede, ma la vita ci è crollata addosso in un secondo e un secondo dopo eravamo in tv, un secondo dopo ancora eravamo degli assassini. Non c’era e non c’è nessuno che consiglia come muoversi, non avevamo le forze e la voglia di lottare contro qualcosa del genere. Abbiamo sempre confidato nel fatto che parlare in aula fosse più importante del farlo pubblicamente…Forse c’è anche altro che mi spinge a scrivere: credere che sia assurdo avere la sensazione che l’esito del processo sia “già scritto” come in tanti dicono. Non può essere così… Non avrei mai pensato di arrivare a scrivere pubblicamente qualcosa di così personale…ma forse parlare dell’umanità che si “nasconde” dietro persone descritte come mostri, aiuterà a capire quanto in realtà siamo persone “normali”, solo con una storia molto pesante sulle spalle (…)”.
Poi è passata a sottolineare come il processo mediatico abbia fatto male a lei e Federico e il fatto che tutto finisse in televisione l’avesse bloccata ad esprimersi sulla vicenda: “(…) Il processo mediatico ha alimentato un tale odio nei nostri confronti da far arrivare le persone a minacciarci di morte. Come hanno potuto credere che Martina non soffrisse? Io con il tempo ho capito che ognuno ha il suo modo per esprimere, sopportare e convivere con il dolore che prova… Io non ho mai pensato al suicidio ma io non ho visto distruggersi tutto intorno a me, la mia famiglia, la mia casa…Federico e Martina sì. E capisco che risulti un nulla rispetto alla morte di Marco e lo è, ma quando ci si ferma un attimo a pensare, possibile che non si metta in dubbio nulla? Possibile che sia così facile odiare? Avevamo poco più di vent’anni e nonostante non fossimo soli e non lo siamo tutt’ora, nessuno è mai riuscito davvero a capire cosa si provi di fronte a tutto questo. Io e Federico siamo rimasti forti insieme, da soli non ce l’avremmo mai fatta. Abbiamo sempre voluto separare e tener lontano il mondo mediatico da quello giuridico e ancora di più da quello emotivo, dalla sofferenza sincera per ciò che è stato (…)“.
La frase pronunciata da Viola Giorgini dopo l’interrogatorio a Federico Ciontoli
Nella conclusione della lettera, infine, ha voluto chiarire la ormai nota frase detta da lei a Federico al termine del suo interrogatorio con i carabinieri dopo la morte di Marco Vannini: “ (…) Gli dissi che gli avevo detto che il primo momento in cui vidi la pistola (io ricordavo di averne vista una sola) fu quando lui, uscito dal bagno, la portò al piano inferiore della casa, prima di quel momento non le avevo viste. Questo perché, se la paura di Federico (anche mia per lui) era che potessero trovare le sue impronte sulle armi e dubitare che poteva essere stato lui a sparare e non Antonio, il mio specificare che fino al momento (ovvero quello dell’ingresso e dell’uscita di Federico dal bagno) io non le avevo viste e Federico era stato con me, dava certezza del fatto che lui non poteva averle toccate fino a quel momento. Questo avrebbe garantito l’impossibilità di dubitare del fatto che lui fino a quel momento non le avesse toccate e che quindi le impronte di Federico risalivano ad un secondo momento dallo sparo. Mi dissi, tra me e me: Federico le ha toccato solo in quel momento, se io lo confermo, loro non possono dubitare. Infatti, dissi “ho detto che l’ho vista solo in quel momento così t’ho parato un po’ il culo a te”. Vuol dire: ho detto che prima di quel momento io non avevo visto nessuna pistola (ed era l’assoluta verità) e dato che tu eri con me nel letto, non potevi aver visto né tantomeno toccato, nessuna pistola. Con “parato un po’ il culo” (linguaggio che all’epoca banalmente utilizzavo spesso, senza porre troppa attenzione al suo significato) intendevo dire che ho difeso Federico da un’ipotetica accusa riguardo il fatto che lui potesse aver toccato le armi prima del suo ingresso nel bagno (…)“.
Viola, infine, ha voluto spiegare quanto lei abbia pensato a Marco in questi anni e quanto si auguri che queste sue ultime parole non vengano fraintese: “ (…) Alla fine di tutto, resterà solamente ciò che di più profondo e sincero c’è. In questa storia non potranno mai esserci vincitori e vinti, non è mai stata una guerra e mai lo sarà“.
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