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Coronavirus fase 2: l’Italia riparte (o quasi). A scuola, in fabbrica ed in ufficio ad orari diversi

Più che lockdown per l’Italia è ormai countdown, quello che ci separa dalla tanto attesa FASE 2 (in particolare il secondo step). E’ questo il tema cardine dell’emergenza Coronavirus insieme a quello legato ai numeri, al numero di contagi, guariti e decessi. La fase 2, quella che dovrebbe iniziare dal 4 Maggio, potrebbe segnare la ripartenza del “motore Italia” caratterizzato dalla ri-accensione delle macchine industriali, dall’apertura delle saracinesche e da un ritorno alla normalità, o quasi.

LE DATE

Le date delle prossime riaperture potrebbero slittare, a cominciare da quella di lunedì 20 di alcune aziende della meccanica e componentistica automotive, tessile, abbigliamento e meccatronica, quest’ultima una galassia di oltre 32 mila imprese con un fatturato aggregato di circa 280 miliardi. Il rallentamento della partenza della fase 2 dipende dalle divisioni fra la task force guidata da Vittorio Colao e il comitato tecnico scientifico che ha preteso una fase di riflessione per compiere uno screening approfondito dei fattori di rischio delle varie catene di produzione in Italia, sulla falsariga di quanto avvenuto in America dove il Tesoro ha stilata una graduatoria dettagliata per settore produttivo.

LO SCREENING

Ecco allora che segna il passo l’accelerazione che si sarebbe voluta dare con un documento della task force da presentare entro domani al governo in modo che nel week end potesse essere varato il nuovo Dpcm con le disposizioni per le prime riaperture già dalla prossima settimana. Tutto slitta appunto, compreso il Dpcm a dopo lunedì 20. Ieri ci sono state molte videoconferenze tra Colao e i membri della squadra, i quali si sarebbe collegati anche fra loro. Ma nonostante il filo diretto fra l’ex top manager Vodafone, ambienti di Palazzo Chigi, qualche ministro e i virologi del comitato tecnico scientifico, non c’è stato nessun passo in avanti.

I MIGLIORAMENTI NON BASTANO

Per consentire le riaperture non basteranno, peraltro, i dati in miglioramento sui nuovi casi di coronavirus e la riduzione della pressione sulle terapie intensive, ma bisognerà essere attrezzati su più fronti, quello dei test sierologici e dei tamponi, da continuare a fare per prevenire nuovi focolai, o quello dei dispositivi di protezione, a partire dalle mascherine: ma in cima alla lista, anche per la task force guidata da Vittorio Colao, ci sarebbe al momento la riorganizzazione del sistema dei trasporti pubblici, per ridurre al minimo il rischio contagio.

IL TRASPORTO PUBBLICO

Tra le soluzioni già al vaglio di ministeri e enti locali quella di incrementare il personale, anche sugli autobus in città, per «evitare» la salita su mezzi che abbiano già raggiunto la capienza massima consentita (attualmente fissata a circa la metà dei soli posti a sedere). In un secondo momento il controllo potrebbe essere poi demandato a una app conta-persone. Sempre la tecnologia dovrebbe essere utilizzata anche in funzione anti-contagio, anche se ancora non sono state prese decisioni con i nodi «privacy-Gps Bluetooth» ancora da sciogliere.

LA CIRCOLAZIONE DEL VIRUS

In attesa delle indicazioni della task force – che tornerà a riunirsi oggi e da cui il premier, Giuseppe Conte attende a breve i primi feedback – il Comitato tecnico scientifico ha intanto validato le caratteristiche che dovranno avere i test sierologici (da fare con prelievo del sangue e non con la puntura sul dito). E ha dettato dei prerequisiti per la ripartenza: non solo essere in grado di prevenire la circolazione del virus ma anche di garantire la massima sicurezza sia per chi lavora nell’industria sia nei contesti commerciali o familiari. Un criterio per la ripresa delle attività, ha spiegato il vicepresidente dell’Oms e componente del comitato Ranieri Guerra, deve essere la capacità di garantire le distanze all’interno di stabilimenti e uffici mentre il numero di mascherine da assegnare a ogni lavoratore dipenderà dalle mansioni. Proprio il fabbisogno di “dpi” è uno dei principali crucci, perché ancora la produzione nazionale èlontana dai numeri necessari per fare rientrare tutti al lavoro.

LO SMART WORKING

Proprio per questo si sta riflettendo sulle regole per lo smart working che potrebbe essere reso «obbligatorio» in tutte quelle realtà che ne permettano il ricorso, almeno per il perdurare dello stato di emergenza. Anche lasciare più persone a lavorare da casa, infatti, rientra nella strategia per evitare le «ore di punta» sui mezzi pubblici che dovrebbero comunque essere potenziati, aumentando le corse. Ma andranno ripensati anche gli orari di lavoro, differenziati per categorie: “Non possiamo più immaginare che milioni di persone si muovano tra le 7.30 e le 8.30 del mattino” ha detto il ministro Paola De Micheli, ipotizzando che i mezzi di trasporto (compresi navi e aerei) non potranno essere riempiti “oltre il 60%” per mantenere il distanziamento tra i passeggeri.

Per il momento si stanno comunque valutando le riaperture anticipate, magari già alla prossima settimana, solo di alcune filiere (dalla moda all’automotive) aggiornando l’elenco dei codici Ateco delle attività consentite, anche se si moltiplicano gli accordi sulla sicurezza sul lavoro, territoriali o per settori, per auto-organizzarsi in attesa del via libera a riaprire i cancelli. Anche gli ambulanti, ad esempio, stanno stilando una sorta di auto-regolamentazione da proporre alle varie Regioni, o all’esecutivo, per ripartire con tutte le protezioni, e c’è chi già, come Jesolo, cerca di salvare la stagione estiva proponendo un modello di accesso in spiaggia solo su prenotazione.