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Anche sulla marijuana la Cassazione è arrivata prima del Parlamento

La storia sentenza dell'Alta Corte ha scatenato di nuovo il dibattito politico sul tema relativo alla legalizzazione delle droghe leggere

Una sentenza che darà linfa alle battaglie anti proibizioniste, storicamente condotte dai radicali e che negli ultimi anni hanno ricevuto diverse sponde importanti. Dal sostegno di Roberto Saviano, al parere dell’ex procuratore antimafia, Franco Roberti, fino alla proposta di legge (arenata in Parlamento) che – a partire da + Europa – ha avuto un appoggio trasversale da parte di parlamentari appartenenti a diversi partiti politici. Ad oggi anche esponenti del M5S sarebbero favorevoli alla legalizzazione delle droghe leggere. Un tema importante da un punto di vista sociale, medico, economico e giuridico.

Non costituirà più reato coltivare in minime quantità la cannabis in casa: è una pronuncia epocale quella delle sezioni unite penali della Cassazione, ovvero del massimo organo della Corte. È arrivata il 19 dicembre del 2019. Si è – ha ricostruito l’AGI – deliberato per la prima volta che “non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica“.

Attività di coltivazione che – si sottolinea – “per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante ed il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore“. In sostanza chi coltiva per sé non compie più reato. Viene propugnata così la tesi per cui il bene giuridico della salute pubblica non viene in alcun modo pregiudicato o messo in pericolo dal singolo assuntore di marijuana che decide di coltivarsi per sé qualche piantina.

I kit per la coltivazione dei semi di cannabis sul balcone di casa sono ormai assai diffusi (in alcuni casi si vendono anche su internet) ma si incorreva in rischi da un punto di vista legale, finora a livello giuridico non c’era mai stata un’apertura vera in questa direzione. La Corte costituzionale in passato è intervenuta più volte sul tema, sposando una linea rigorosa, e così la giurisprudenza ha assunto – dopo alcune isolate sentenze controverse sul tema – una posizione netta. Stabilendo un semplice principio: la coltivazione di cannabis è sempre reato, a prescindere dal numero di piantine e dal principio attivo ritrovato dalle autorità e anche se la coltivazione avviene per uso personale.

Si affermava che “la condotta di coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi attivi di sostanze stupefacenti” potesse “valutarsi come ‘pericolosa’, ossia idonea ad attentare al bene della salute dei singoli per il solo fatto di arricchire la provvista esistente di materia prima e quindi di creare potenzialmente più occasioni di spaccio di droga“.

E così la Cassazione, adattandosi a quanto chiarito dalla Consulta, ha finora sostenuto che la coltivazione di marijuana, anche se per piccolissime dosi (una o due piantine) è sempre reato, a prescindere dallo stato in cui si trovi la pianta al momento dell’arrivo del controllo. Ora – si attendono le motivazioni della pronuncia del 19 dicembre – c’è stato un ribaltamento del principio fin qui stabilito. Sono le sezioni unite penali ad aver mettere un punto fermo dettando un’unica linea e uniformando il trattamento per i coltivatori di “erba” in casa.

Il reato di coltivazione di stupefacente – si legge nella massima provvisoria emessa dalla Corte dopo l’udienza del 19 dicembreè configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente“; “Devono però ritenersi escluse – ed è qui il punto di svolta -, in quanto non riconducibile all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni, svolte in forma domestica che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate i via esclusiva all’uso personale del coltivatore“.

Anche sulla marijuana la Cassazione è arrivata prima del Parlamento