A partire da due libri scritti da Demarco abbiamo provato ad analizzare il contesto politico e culturale di Napoli. E le sue prospettive future
Giornalista, scrittore ed editorialista. Marco Demarco è di sicuro una delle menti più preziose che il panorama culturale e giornalistico italiano ha a disposizione. Quando si pensa alla figura degli intellettuali, di quei pochi rimasti al Sud, possiamo tranquillamente inserire tra questi Demarco.
Editorialista del Corriere della Sera e fondatore del Corriere del Mezzogiorno che ha diretto fino al 2014, Demarco è anche scrittore di libri e saggi. Attraverso i suoi testi l’autore ha indagato, dal punto di vista politico, sociale e culturale, Napoli e il Meridione senza mai trattarli come entità distaccate rispetto al Paese e all’Europa.
In particolare questa intervista si basa su alcuni spunti emersi da due suoi volumi. Uno appena pubblicato, Naploitation, l’altro scritto un pò di tempo fa, L’altra metà della storia, spunti di riflessione da Lauro a Bassolino.
Più che un’intervista è stata una piacevole chiacchierata. Un modo per analizzare a fondo le dinamiche che riguardano Napoli e l’Italia, partendo dal dopoguerra ma dando uno sguardo al futuro. Che secondo Demaro potrebbe essere, “positivo e ricco di opportunità“.
Nel suo ultimo libro, “Naploitation”, lei ha parlato dei luoghi comuni della napoletanità in modo positivo. Perché secondo lei il patrimonio culturale della città, le sue caratteristiche, non sono state utilizzate per una narrazione di Napoli forte e produttiva e invece sono diventati strumenti di campanilismo, vittimismo e rivendicazionismo del passato?
La lettura è questa. Mi sono sempre chiesto dove portasse questo parlare su Napoli e la napoletanità. L’idea che mi sono fatto, dopo aver studiato e raccolto materiale, è che Napoli vive una paradosso. Si tratta di una delle città più raccontate in Italia. Basta pensare che ha 50 scrittori regolarmente iscritti alla Siae, Milano molto meno. Ma il capoluogo lombardo può contare su una coesione sociale molto forte ed efficace. Napoli, invece, è una città frastagliata e disunita. Napoli, come raccontato anche da Paolo Macry, ha molte identità ma non una, sola e definità. Il motivo è ideologico. Questa napoletanità teneva insieme la città. Questo fenomeno c’è stato fino agli anni di Lauro, erano gli anni ’60. Questa napoletanità univa tutta la società napoletana indipendentemente dal ceto sociale e dalle condizioni economiche e culturali. C’erano eventi come il Festival di Napoli – che evidenziava l’importanza della musica napoletana – la festa di Piedrigotta, in tutte le case c’era una scultura di Gemito. Poi è successo che alcuni autori, nello specifico La Capria, Ghirelli e Rosi, iniziarono a pensare alla napoletanità come una condizione di provincialismo, regressione e localismo. La ragione era politica: bisognava superare i Laurismo. Quindi tutto ciò che fine a quel momento teneva unita la città, iniziò a divenire un tratto distintivo che spaccò la società napoletana. Questi tre autori erano coetanei, frequentavano la stessa scuola e classe e fecero lo stesso percorso politico all’interno del centro sinistra. Ecco, dunque, come un gruppo di intellettuali influenzò i processi politici con i filoni democristiani e socialisti. Ad oggi mi sento di dire che probabilmente il Laurismo è stato analizzato sempre con pregiudizio in modo solo negativo. In realtà la figura di Lauro, con tutti i suoi aspetti negativi, non è mai stata studiata a fondo. La sua immagine andrebbe spiegata a 360°, nella sua totalità. Per molti versi Lauro ha anticipato tanti fenomeni in abito politico. È stato il primo a sviluppare un partito personale, è stato il primo a promuovere certe politiche liberiste, è stato il primo a comprendere il nesso tra politica e spettacolo, è stato il primo politico a diventare presidente di una squadra di calcio, è stato il primo a capire l’importanza della comunicazione politica, è stato il primo a strutturare una rete televisiva. In pratica Napoli ha avuto un Berlusconi con mezzo secolo di anticipo. Questo, nel bene e nel male, avrebbe potuto posizionare la città in senso economico, sociale e politico, in ruoli strategici dominanti all’interno della modernità. Lauro ha capito prima di tutti che per una città l’industria leggera, quella del turismo e quella dello spettacolo, è imporante alla pari di quella pesante. Era una visione, rispetto a ciò che sta accadendo oggi, più che giusta. Non per niente basta pensare a quanto stia giovando – in positivo e negativo – alla città le numerose produzioni televisive e cinematografiche. O il boom di turisti che da tempo affollano le strade di Napoli cercando proprio la napoletanità. Ma gettando nel cestino l’intero fenomeno del Laurismo e bollando in senso negativo la napoletanità, ci troviamo meno attrezzati per gestire questi nuovi processi sociali, culturali ed economici. Ma basti pensare che non esistono, ad esempio, un museo della musica napoletana, un museo dedicato a Caruso, o un museo dedicato al teatro e al cinema napoletano. Napoli è sempre stata incapace di vendere se stessa. Quindi, invece di piangersi addosso a causa di questi luoghi comuni, cerchiamo di sfruttarli. Dobbiamo smettere di essere nostalgici e iniziare a pensare al futuro. A me piace sempre pensare a Carosone che negli anni ’50 e ’60 fa una cosa straordinaria. Unisce il jazz alla musica napoletana vendendolo agli americani che storicamente erano presenti a Napoli. Ed ottiene un grande successo, addirittura è lui ad essere stato imitato. Per non parlare di Salvatore Di Giacomo, uno dei più grandi scrittori della tradizione napoletana. Di Giacomo era uno che parlava dell’importanza della comunicazione e dello storyelling. La pratica che Napoli ha di raccontare se stessa che col tempo si è persa per poi ritornare negli ultimi anni con il fenomeno Gomorra. Che va anche bene ma basta che non resti l’unico tratto distintivo di Napoli. Gomorra va bene in un sistema complessivo di caratteristiche che una città possiede, rappresenta e comunica.
Parlando di Napoli come città di avanguardie, secondo lei De Magistris – dal punto di vista di una propaganda populista e basata sull’anti politica – può essere considerato tale rispetto al fenomeno del M5S?
Si, ma per dire questo non so se gli faccio un complimento. De Magistris ha capito che a Napoli si stava per chiudere un ciclo. Un ciclo che è iniziato con il terremoto del 1980 ed è terminato con la crisi dei rifiuti del 2008. Uno stato di emergenza durato decenni. De Magistris ha iniziato a interpretare un’aria non di penitenza ma di riscatto. E in questo ha approfittato del sostegno della città. A Napoli vi era un clima molto simile a quello vissuto ai tempi della Liberazione dai nazi fascisti e alla fine della guerra. Qui c’è stato però un paradosso. Se pensiamo all”adda passà a nuttata’ di Eduardo, questa frase straordinaria che chiude la sua commedia ‘Napoli Milionaria’, non era certo riferita alla fine della guerra. In quel caso la notte era già passata perché il conflitto mondiale era già finito. Eduardo aveva timore del futuro. Lui, essendo un visionario, già immaginava le problematiche sociali che Napoli avrebbe dovuto affrontare e patire negli anni avvenire. E in questa interpretazione troviamo il significato di ‘adda passà a nuttata’. Quella di Eduardo era un’analisi pirandelliana della storia umana. Invece fu sfruttata solo in chiave comunista e anti americana. Ma la realtà non era certo questa. Tornando a De Magistris, il sindaco ha utilizzato come fulcro della sua narrazione di Napoli, quello che c’era già nel 1943. In questi anni furono composte, ad esempio, canzoni come ‘Dove sta Zazà’, o ‘La tammurriata nera’, canzoni di felicità, veri inni alla gioia. Decenni dopo De Magistris ha spinto sulla movida, sul lungomare liberato, sugli eventi, sullo spirito anarchico dei napoletani. A questi ultimi è stato detto: camminate, prendetevi la città e fate ammuina. Il problema è che all’intuizione non ha seguito la pratica politica. Napoli è allo sbando, è abbandonata, non ha servizi efficienti. Anche potare un albero è diventato un problema e ci si sta affidando alla pioggia. Una concezione deterministica delle cose dove i fenomeni sono decisi dal caso e dalla natura mentre la politica resta inerme a guardare. Alla fine, di De Magistris, ci resterà solo il lungomare liberato. Un ragionamento analogo lo aveva fatto Bassolino. Anche quest’ultimo aveva iniziato bene per poi finire male.
Comunicando un’immagine di Napoli come città autonoma e in grado di autogovernarsi, De Magistris non potrebbe essere inteso come il “Salvini del Sud”?
C’è una sorta di rapporto tra De Magistris e Salvini. Su alcune questioni, come quella dell’accoglienza e l’immigrazione, non ci sono punti di incontro. Ma sul tema delle autonomie regionali De Magistris e la Lega hanno molti punti in comune. Questo ha prodotto un paradosso: un’affinità ideologica tra i leghisti e neoborbonici. Due movimenti all’apparenza opposti e che quindi si attraggono. E lo fanno per un nemico comune: l’unità d’Italia. La Lega è sempre stata secessionista e separatista, anche se oggi i toni sono più diplomatici e la discussione è stata traslata a livello europeo con il filone sovranista e patriottico. Il movimento neo borbonico è invece nostalgico rispetto al sistema monarchico. Miglio che è stato uno dei teorici della Lega, è stato anche uno degli studiosi più importanti del brigantaggio. Quest’ultimo era visto come un fenomeno di opposizione anche armato contro il processo di unione del Paese. De Magistris è stato eletto anche grazie ai voti di quattro liste dichiaratamente neo borboniche e negazioniste rispetto all’unità d’Italia. Spesso con De Magistris, quando mi è capitato di intervistarlo, ho fatto il gioco della torre. Gli ho chiesto: ‘Se dovessi spingere giù da una torre, Garibaldi o Crocco (uno dei briganti più importanti della storia, ndr), lui una volta – a denti stretti e senza grande convinzione – ha detto Garibaldi. Quindi, un limite di De Magistris, è stato rappresentato dall’aver prodotto una politica non contestualizzata a livello nazionale, e che ha sviluppato un filone sudista e quindi antistorico.
Si può dire che Salvini abbia trovato consensi al Sud grazie ad una totale desertificazione del contesto politico locale che ha causato una completa assenza di alternative politiche?
Il fenomeno di Salvini è dirompente. La Lega è primo partito a Napoli e in Campania sbalzando il Pd e il centrosinistra che storicamente sono stati i partiti di riferimento nei nostri territori. Questo vuol dire soltanto che le vecchie organizzazioni politiche hanno commesso gravi errori che le hanno costrette ai margini del consenso elettorale. Pensiamo alla fiamma rappresentata dal M5S che è divampata per gli stessi motivi. Ma anche i grillini quando sono stati chiamati alla prova di governo hanno disatteso le aspettative perdendo lo slancio iniziale. E anche questo ha fortificato la leadership e il consenso di Salvini.
Nel libro “L’altra metà della storia, spunti di riflessione da Lauro a Bassolino”, lei ha descritto un sistema di potere piramidale che ha visto il suo acme in Bassolino come uomo solo al comando. Ad oggi tale sistema esiste ancora o ha assunto nuove forme?
A quei tempi non si parlava di clientelismo ma di cesarismo e bonapartismo. Ovvero l’aver costruito un sistema di potere piramidale dove c’era un solo uomo al comando. E quest’ultimo era proprio Bassolino autore stesso di quel sistema. Quando si azzerano i corpi intermedi, quando non c’è più intermediazione, tutto finisce sulle spalle del capo. Quando però quest’ultimo è in difficoltà, come lo è stato Bassolino a causa della crisi dei rifiuti, a indebolirsi è tutto il sistema. Ad oggi questo meccanismo non è più piramidale. A Napoli non ci sono poteri forti. C’è un solo potere che è quello rappresentato da De Luca ma il governatore non è riuscito a penetrare nel panorama politico napoletano.
L’attuale contesto politico vede a Napoli e in Campania un centro sinistra debole, una destra sempre presente ma in difficoltà, un M5S poco concreto e Dema in netto calo di consensi. Cosa prevede per le prossime elezioni regionali?
Credo che il centro destra si presenterà unito. Alcune regioni andranno a Salvini, altre a Berlusconi e alla Meloni. La Lega ha accettato che la Campania sarà affidata a Forza Italia. Se la coalizione troverà un candidato forte non ci sarà alcun dubbio sull’esito delle elezioni regionali. Anche De Luca è molto forte ma sarebbe imbattibile sono con il supporto del M5S. Anche questi ultimi non saranno affatto competitivi se competeranno da soli. Poi tutto può succedere, se dovesse accadere qualcosa che potrebbe sfasciare l’unità di destra o se dovesse nascere un nuovo movimento centrista – e già se ne parla con Italia Viva di Renzi che potrebbe avere l’appoggio della Carfagna – allora lo scenario potrebbe cambiare. Quindi per De Luca la sfida non sarà affatto facile.
Napoli è una città ferita, dove la società è spaccata e vi sono gravi carenze economiche e sociali. I servizi pubblici non funzionano rendendo la vivibilità difficile. Tuttavia è una città sempre ricca di passione, energia e creatività. Lei come la immagina tra 10 anni?
Io la immagino come una città che deve rimettere al centro delle proprie strategie politiche ed economiche l’industria leggera senza dimenticare quella pesante. La chiave di lettura che mi fa ben sperare è quella di vedere Napoli come una città che non sarà devastata dal fenomeno del turismo di massa. Questo perché a Napoli c’è una forte presenza del popolo. E se tu estrometti il popolo dai processi economici di una città non puoi essere vincente. Pensiamo a Venezia, dove gli abitanti del centro sono stati quasi ‘espulsi’ per logiche turistiche. A Roma e Firenze dove i residenti sono soffocati dal turismo. Forse, l’unica città che ha risposto meglio al fenomeno, è stata Milano con determinate politiche che sono state in grado di gestire al meglio il fenomeno. Inoltre nel capoluogo lombardo vi sono altri settori sviluppati che si equilibrano rispetto al solo turismo: la moda, la ricerca, le nuove tecnologie. Napoli, dunque, ha questo grande potenziale che deve essere sfruttato. Quindi la situazione non è così drammatica come sembra. Anzi, dirò di più, se fossi un politico sarei allettato dalla sfida di diventare sindaco di Napoli. Questo perché la città può offrire un terreno molto fertile dove far crescere opportunità e cambiamenti. Faccio un esempio, a New York vi è il centro culturale più importante del mondo: il Lincoln Center. Il maestro Riccardo Muti, chiacchierando una volta mi ha chiesto, ma perché una cosa del genere non si può fare anche a Napoli, una città che ha una cultura così eccezionale? È sconvolgente che nessun politico abbia pensato di chiamare Muti e di chiedergli come si potrebbe costruire a Napoli una cosa del genere. In questa c’è tutto: idee, potenzialità, opportunità. Ci vogliono le persone capaci di sfruttarle avendo una visione futura della città. Ed ecco che torniamo al significato di napoletanità: sfruttare un passato e un’identità forti per porre le basi del futuro. Senza nostalgie e senza quell’idea di un passato parassitario e paralizzante. Napoli è una città ideale dove sperimentare nuove strategie e forme di governo capaci di sfruttare il fascino della modernità.