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Omicidio Cucchi, intercettazione atroce: “Magari morisse, ci sbattiamo da 2 ore”

Continuano ad emergere dettagli agghiaccianti sull’omicidio di Stefano Cucchi. Dopo la confessione-choc del carabiniere Francesco Tedesco che ha ammesso il pestaggio del 31enne romano, accusando i colleghi Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo della violenta aggressione, arrivano nuove frasi-choc nei nuovi atti istruttori depositati oggi dai magistrati per le nuove indagini relative alla riapertura del caso.

Nel nuovo documento ad essere coinvolto un altro militare, Vincenzo Nicolardi, imputato per calunnia. Quest’ultimo, in una conversazione con il capoturno della centrale operativa del comando provinciale dei carabinieri di Roma dichiara quanto segue: “Magari morisse, li mortacci sua“. Frase pronunciata tra le 3 e le 7 del mattino del 16 ottobre 2009, poche ore dopo l’arresto per droga di Cucchi e il violento pestaggio subito.

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“Mi ha chiamato Tor Sapienza – dice il capoturno della centrale operativa -. Lì c’è un detenuto dell’Appia, non so quando ce lo avete portato se stanotte o se ieri. È detenuto in cella e all’ospedale non può andare per fatti suoi”. Perentoria la risposta di Nicolardi: È da oggi pomeriggio che stiamo sbattendo con questo qua“.

Non è però finita qui. Sempre secondo quanto emerge dai documenti depositate oggi dall’accusa alla I Corte d’Assise del Tribunale di Roma, otto giorni dopo la morte di Stefano Cucchi (22 ottobre), il 30 ottobre 2009, ci fu una riunione, definita con poca delicatezza “tipo gli alcolisti anonimi”, al comando provinciale di Roma, convocata dall’allora comandante, generale Vittorio Tomasone, con i vari carabinieri coinvolti a vario titolo nella vicenda della morte del geometra romano. E’ quanto afferma Massimiliano Colombo, comandante della stazione dei Carabinieri di Tor Sapienza parlando con il fratello Fabio.

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RIUNIONE “TIPO GLI ALCOLISTI ANONIMI”
“Il 30 ottobre, la mattina ero di pattuglia con Colicchio. Soligo mi chiama, mi chiede: ‘Fammi subito un appunto perché poi dobbiamo andare al comando provinciale perché siamo stati tutti convocati, ‘cioè quelli dall’arresto di Cucchi a chi lo aveva tenuto in camera di sicurezza. Tu che sei il comandate della stazione, anche se non hai fatto nulla, il comandante della compagnia Casilina, il maggiore Soligo, comandante di Montesacro, il comandante del Gruppo Roma, stavamo tutti quanti. Ci hanno convocato perché all’epoca il generale Tomasone, che era il comandante provinciale, voleva sentire tutti quanti. Abbiamo fatto tipo, hai visto ‘gli alcolisti anonimi’ che si riuniscono intorno ad un tavolo e ognuno racconta la sua esperienza, così abbiamo fatto noi quel giorno dove però io non ho preso parola perché non avevo fatto nessun atto e non avevo fatto nulla”.

“Ognuno a turno si alzava in piedi e parlava spiegando il ruolo che avevano avuto nella vicenda Cucchi. Ricordo che uno dei carabinieri di Appia, che aveva partecipato all’arresto, aveva un eloquio poco fluido, non era molto chiaro. Un paio di volte intervenne il maresciallo Mandolini per integrare cosa stava dicendo e per spiegare meglio, come se fosse un interprete. Ad un certo punto Tomasone zittì Mandolini dicendogli che il carabiniere doveva esprimersi con le sue parole perché – ha concluso Colombo – se non fosse stato in grado di spiegarsi con un superiore certamente non si sarebbe spiegato con un magistrato”.

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“TROPPI FALSI”
In apertura di udienza del processo, il pm Giovanni Musarò, ha detto che “questa storia è costellata di falsi, da dopo il pestaggio e proseguita in maniera ossessiva anche dopo la morte di Cucchi. C’è stata un’attività di inquinamento probatorio che ha indirizzato in modo scientifico prove verso persone che non avevano alcuna responsabilità e che sono state sottoposte a giudizio”.

“Quello che ha detto il carabiniere Fancesco Di Sano nell’udienza del 17 aprile è vero – ha detto il pm Musarò -: la modifica dell’annotazione di servizio sullo stato di salute di Cucchi non fu frutto di una decisione estemporanea e autonoma di un militare ma fu l’esecuzione di un ordine veicolato dal comando di stazione, che a sua volta recepì un ordine dal comandante di Compagnia, che a sua volta aveva recepito un comando dal gruppo”.

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