“Ci chiudevamo a chiave nella camera da letto prima di andare a dormire”. Questa la testimonianza di Maria Scintilla Amodio, compagna di Lucio Materazzo (deceduto anni fa), padre di Vittorio Materazzo, l’ingegnere ucciso con numerose coltellate nel tardo pomeriggio del 28 novembre 2016 in viale Maria Cristina di Savoia, nel quartiere Chiaia a Napoli.
Nel processo che vede imputato Luca Materazzo, fratello della vittima, la donna ha risposto alle domande del magistrato Francesca De Renzis della procura di Napoli in riferimento a dichiarazioni sommarie rilasciate dalla testimone l’8 dicembre del 2016, pochi giorni dopo l’omicidio. “A causa dei momenti di rabbia di Luca, temevo per me e per Lucio” ha dichiarato Maria Scintilla Amodio che, a una successiva domanda rivolta dal presidente della Corte di Assise, Giuseppe Provitera, la testimone ha anche ammesso di essersi chiusa a chiave nella sua camera da letto anche dopo la morte del compagno Lucio.
Nell’udienza dello scorso 13 settembre c’era stato invece il racconto di Luigi Di Tommaso, titolare del bar Gradini 12 di via Crispi. Attività commerciale che Materazzo avrebbe utilizzato per ripulirsi dopo l’omicidio e l’abbandono, in un parchetto del corso Vittorio Emanuele, degli indumenti sporchi di sangue. Di Tommaso ha indicato la gabbia dove si trovava Luca Materazzo quando il presidente del collegio giudicante gli ha chiesto se in aula fosse presente la persona che quella sera entrò nel suo bar per utilizzare il bagno.
PROCESSO MATERAZZO, CHIESTA PERIZIA PSICHIATRICA