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Massoneria e antimafia, una ferita aperta che continua a sanguinare

Ieri, presso l'Istituto italiano degli studi filosofici, presentato il libro "Massofobia, l'antimafia dell'inquisizione" con l'autore Stefano Bisi

Il primo “contatto” con la massoneria o meglio con la loggia del Grande Oriente d’Italia l’ho avuto qualche mese fa quando l’associazione aveva indetto una visita pubblica presso la sede napoletana sita all’interno della galleria Umberto.

Ho avuto modo di conoscere diversi membri e di chiacchierare con loro. Ne ho approfittato per visitare due templi e le stanze della meditazione, mentre nel frattempo ricevevo molte spiegazioni sulla cultura, la storia e la simbologia massonica. Credo che a prescindere di come la si pensi in merito, posso affermare quanto sia enorme la diffidenza che esiste nei confronti della massoneria.

Il primo ad essere diffidente è stato proprio il sottoscritto. Eppure, quel giorno, non ho avuto l’idea di essere all’interno di un’organizzazione dedita a particolari rituali in cui il sesso e il sangue sono all’ordine del giorno. Tuttavia, è oggettivo il fatto che siano altrettanto forti i pregiudizi e l’ignoranza che l’opinione pubblica ha della massoneria. Un contesto in cui dominano disinformazione e complottismo, fenomeni favoriti dal mistero e dal segreto che aleggiano intorno ai massoni. Questo, però, rende anche più semplice, se non addirittura “giustificata”, una sorta di caccia alle streghe nei loro confronti.

Ed è qui che vengo al dunque. La mia seconda esperienza a contatto con il “mondo massonico” si è verificata in occasione della presentazione di un libro: “Massofobia, l’antimafia dell’inquisizione“, scritto proprio dal Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Stefano Bisi. La sede non è stata scelta a caso, l’incontro (pubblico) c’è stato presso il prestigioso Istituto italiano degli studi filosofici in via Monte di Dio a Napoli. Oltre al Gran Maestro erano presenti il senatore Luigi Compagna e il giornalista de Il Mattino Valentino Di Giacomo. A moderare l’evento il direttore de Il24.it Gianfrancesco Raiano.

Il testo è stato scritto per raccontare una spiacevole vicenda nella quale ci sono due protagonisti: da una parte il Grande Oriente d’Italia, dall’altra la Commissione parlamentare antimafia guidata dall’allora presidente Rosy Bindi in quota per il Partito Democratico. Era il 3 agosto del 2016 quando Bisi è stato ascoltato dalla Commissione a Roma. L’audizione è ben descritta, soprattutto dal punto di vista fisico ed emotivo. Leggendo il libro si percepisce la sensazione di trovarsi di fronte ad un nuovo “tribunale dell’inquisizione”.

Il motivo di tale convocazione è l’ipotesi avanzata dalla Commissione secondo la quale all’interno delle associazioni massoniche calabresi e siciliane ci siano “fratelli” legati a clan della ‘ndrangheta e della mafia. Quindi la teoria è già dimostrata: sei massone, sei calabrese o siciliano, quindi sei ndranghetista e mafioso. Al diavolo la presunzione di innocenza, per la Commissione il sospetto è di per se una certezza. L’obiettivo dei parlamentari è di scoprire questi presunti affiliati alla criminalità organizzata e per farlo hanno bisogno degli elenchi con i nomi degli iscritti di quelle regioni alla loggia del Grande Oriente d’Italia.

Peccato che un parlamentare dovrebbe conoscere la Costituzione che difende e promuove il diritto e la libertà di associazione. Così come dovrebbe sapere che si può pretendere di agire secondo la legge avendo a disposizione sentenze, prove, elementi investigativi e di indagine. Invece non è così. La Commissione, un organo politico, si trasforma magicamente in magistratura inquirente e giudicante, indossando due toghe in una e andando dritta per la sua strada. Così il primo marzo del 2017 una squadra di finanzieri si reca presso la sede nazionale del Grande Ordine d’Italia che si trova nella villa Il VascelloRoma. I militari delle fiamme gialle hanno un mandato di perquisizione e sequestro, guardano ovunque alla ricerca di documenti compromettenti. Ore e ore di lavoro che faranno scrivere alla Commissione, nella sua relazione conclusiva, che “non si può escludere a priori ne che altra documentazione potesse essere conservata altrove ne che parte di quella custodita nelle sedi ufficiali sia stata spostata prime dell’esecuzione dei decreti“.

Parole forti, come un pugno allo stomaco. Inoltre, una sentenza del 1982 emessa dalla Corte di Cassazione ha reso impugnabili i provvedimenti delle Commissioni parlamentari d’inchiesta. Al Grande Oriente d’Italia non restano che il tribunale e la legge europea della CEDU (Corte europea dei diritti dell’uomo). Oltre al suo carattere inquisitorio, l’operazione della Commissione ha assunto anche una valenza discriminatoria e razzista, secondo il quale chi nasce al Sud deve essere per forza legato ad una cosca criminale. Fortunatamente, almeno per ora, questo supplizio politico e giudiziario è stato evitato ai membri della Campania. Ma non mi meraviglierei se qualcuno si svegliasse un giorno a Palazzo San Macuto e lanciasse la sua “fatwa” contro i campani e i napoletani. La verità è che stiamo tornando ai tempi bui e fascisti della “messa all’indice”. Del censire e del registrare all’anagrafe, categorie, razze, professioni, associazioni, invise al potere. Basta guardare e ascoltare la propaganda e la prassi politica degli ultimi tempi.

Un clima avvelenato dall’antipolitica e dal corto circuito che va avanti da decenni tra la sfera politica, giudiziaria e mediatica. Dove la prima per convenienza si è sottomessa alla seconda. Lo Stato di Diritto è del tutto schiacciato da questo conflitto. Le nostre libertà civili sono in pericolo e la cosa non riguarda solo la massoneria. L’Italia si avvia ad essere un paese fortemente autoritario dove in nome della sicurezza, della lotta alla corruzione e alla criminalità, si stanno spegnendo quei pochi focolai liberali che ancora sono accessi nel “Belpaese“. Un trauma, una situazione che non rappresenta più una minaccia ma una dura realtà. E questo dovrebbe preoccuparci tutti.

Durante la presentazione del libro sono stati premiati anche la preside Rita Iervolino dell’istituto superiore Cesaro Vesevus di Torre Annunziata insieme agli alunni della Va – Afm. I ragazzi, in un tempo in cui si parla molto di bullismo tra i giovani e di episodi di violenza che accadono tra i banchi di scuola, si sono resi protagonisti di una gesto umano di grande nobiltà.

Lo scorso 14 maggio una delle loro insegnanti non era arrivata ancora a scuola. Considerata la rarità delle volte nelle quali la docente ha fatto assenza o è arrivata in ritardo presso l’istituto, gli studenti si sono preoccupati. La classe ha così fatto il percorso che ogni mattina la loro professoressa fa per giungere a scuola. Arrivati fino a casa sua e notando che la donna non rispondeva al citofono, hanno allarmato i carabinieri e i soccorsi. L’insegnante è stata trovata a terra priva di sensi, colpita da un malore. La docente è stata salvata grazie all’intuizione e l’intervento dei suoi ragazzi. Per quest’azione l’istituto, gli alunni, la preside e l’insegnante hanno ricevuto una targa e un premio in denaro dal Grande Ordine d’Italia.

Massoneria e antimafia, una ferita aperta che continua a sanguinare
Da sinistra, il Senatore Luigi Compagna, il Gran Maestro Stefano Bisi, il Direttore Gianfrancesco Raiano e il Giornalista Valentino Di Giacomo

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