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Il caso Verdoliva: se la magistratura incute paura e crea immobilismo

L'ultima raffica di arresti in merito all'inchiesta sull'ospedale Cardarelli ha fatto emergere un'immagine poco rassicurante degli organi inquirenti

Abbiamo estrema fiducia nelle inchieste della magistratura inquirente e nell’esito giusto dei processi in corso. Ma non si può sottovalutare che la scure dell’autorità giudiziaria sta invadendo la scena politica e amministrativa del paese. Questo meccanismo va avanti da anni e alla fine ci ritroviamo con un duplice e grave e problema: l’incertezza della pena e l’assenza del diritto. E se l’Italia è diventato un paese dove non è possibile ottenere giustizia e lo stato di diritto è sacrificato per favorire becere lotte di potere, allora possiamo dire addio a valori come quelli di libertà e democrazia.

Salvando molti dei professionisti che svolgono il loro lavoro con correttezza nonostante le svariate difficoltà che si trovano di fronte ogni giorno, basta fare un excursus storico delle principali vicende di cronaca politica, da Tangentopoli ad oggi, per rendersi conto che il sistema “Giustizia” sia malato e in definitiva rottura con quello della “Politica“. Inoltre l’aspetto più grave è che quest’ultima si è definitivamente inginocchiata alla sfera giudicante (tranne per qualche rara eccezione che rappresenta un’isola felice, come il Partito Radicale di Marco Pannella).

Ormai i magistrati incidono sulla sopravvivenza delle amministrazioni e i giudici sull’attività legislativa. I governi e i parlamenti degli ultimi anni hanno abdicato in favore della funzione supplente della magistratura. Comuni, Asl, ospedali, partecipate, quanti sono stati gli organi pubblici degli ultimi anni saltati a causa di un inchiesta o di una serie di avvisi di garanzia pervenuti agli amministratori, manager o politici di turno? E quante sono le leggi smantellate dalle sentenze della Corte costituzionale? Quanti sono stati i casi nei quali l’azione legislativa dell’assemblea parlamentare è stata indirizzata dal giudizio della Consulta?

A questo punto bisogna porsi questo problema: in Italia non esiste più la divisione e l’equilibro di poteri. Ai magistrati è stato chiesto altro, di ricoprire il ruolo di giustizieri, di essere investiti di un’aurea di forte etica e moralità che è al di sopra di tutti gli altri sistemi che fanno parte della macchina statale. Si è dimenticato il forte potere che i magistrati posseggono e cioè quello di privare della libertà un individuo anche in via cautelare e prima che si arrivi a sentenza. Si è evitato di raccontare come anche la magistratura sia diventata una casta in cui agiscono delle vere e proprie correnti politiche che influenzano con forza quelle che sono le decisioni più importanti, ad esempio le cariche da ricoprire all’interno delle varie Procure del paese.

Si è sottovalutata l’azione di un CSM (Consiglio superiore della magistratura) più politicizzato che mai in cui le diverse composizioni si scontrano e sottobanco prendono decisioni di vitale importanza. Si sottovalutano le invidie e le gelosie tra molti dei protagonisti del mondo giuridico che fanno a gara a chi deve comparire di più sui giornali e nei Tg con inchieste bomba che poi vanno in fumo. Si sono trattati con superficialità gli scontri che spesso avvengono all’interno delle Procure o tra uffici di diverse città. Si è data poca importanza a quelle che sono le statistiche, impietose per un paese occidentale e facente parte dell’Unione Europea: l’Italia è condannata per la lunga durata dei processi e le condizioni disumane delle carceri (in cui il dettato costituzionale del recupero sociale di un detenuto è del tutto disatteso. Dove sono in questo caso gli strenui difensori della Costituzione?), ha un numero esoso di magistrati fuori ruolo, ha un numero incredibile di procedimenti che non arrivano a sentenza e che finiscono prescritti, ha un regime di custodia cautelare da dittatura sudamericana, ha nell’uso delle intercettazioni e delle dichiarazioni dei pentiti, gli unici strumenti investigativi per le inchieste più importanti (come ad esempio quelle di mafia e corruzione), ha un uso scorretto e spropositato delle intercettazioni stesse, ha un rapporto malato con l’informazione e non sono poche le “soffiate” che dalle procure finiscono nelle redazioni dei giornali, ha una predisposizione nel mettere alla gogna un indagato (si vede che l’emblematico caso – Tortora ha insegnato ben poco).

Ad oggi, nonostante la repressione e la proclamazione di finti miti nazionali (un modo come un altro per scaricare le proprie responsabilità e pulirsi la coscienza), siano stati l’unico metodo utilizzato contro i “demoni” della corruzione e la criminalità organizzata, entrambi i fenomeni sono più forti che mai. Possibile che l’unica risposta politico-giudiziaria sia, ad esempio, quella di togliere i figli ai mafiosi e ai camorristi? Non solo, due organi fondamentali come la Commissione parlamentare antimafia e la Procura nazionale antimafia sanno parlare solo di candidati “impresentabili“, e guarda caso alla vigilia delle elezioni magari per influenzarne l’esito. Il Parlamento recentemente ha approvato un nuovo pacchetto legislativo proprio per le procedure antimafia che daranno una vera “mazzata” alle aziende pubbliche e private, basando l’azione inquirente semplicemente sul sospetto che quell’ente possa aver messo in pratica un’attività corruttiva, equiparandolo ad un’organizzazione criminale. E questa si chiamerebbe prevenzione? Non un bel vedere per tutti gli uomini che hanno combattuto e sono morti per il rispetto della legge in questo paese.

Inoltre, nel 2016 dopo che 20 anni fa i cittadini italiani avevano manifestato il loro parere favorevole, ancora non esiste un sistema coerente che regoli la responsabilità civile dei magistrati che commettono errori grossolani rovinando la vita delle persone. Oggi se il CSM reputa giusto sanzionare un collega, a risarcire la vittima deve pensarci lo Stato. Inutile dire che le statistiche sono impietose, in pratica l’organo istituzionale principale del mondo giuridico italiano, raramente “punisce” un Pm o un giudice. Eppure oggi ci troviamo di fronte a continui casi in cui l’unica azione forte che divampa nel paese è quella inquirente: il caso Consip, l’assoluzione di Clemente Mastella (dopo un processo durato anni per una vicenda che è costato il crollo ingiustificato di un governo), l’arresto di neo eletto Consigliere regionale il giorno dopo le elezioni in Sicilia, l’indagine su Silvio Berlusconi accusato di essere il mandante delle stragi di mafia (guarda caso nel momento in cui il leader di Forza Italia è tornato in auge nel panorama politico italiano), la vicenda che ha visto finire agli arresti il manager dell’ospedale Cardarelli e di nuovo l’imprenditore napoletano Alfredo Romeo (da un decennio intercettato e coinvolto in più inchieste per le quali ha fatto molti giorni di galera: una prescritta e che risale agli inizi degli anni ’90, una assolto – global service – e l’ultima in corso).

Sul caso Consip non vorrei dilungarmi, già si è visto come quest inchiesta si sia rivelata un Vaso di Pandora che ha rivelato, oltre alla vicenda giudiziaria, trame politiche oscure che hanno coinvolto anche i vertici delle forze armate. Anche sull’ex Cavaliere eviterei di soffermarmi, considerato che è stato il principale protagonista dell’ultima grande “battaglia” tra politica e magistratura. Ma la recente questione che ha visto in manette Ciro Verdoliva merita un piccolo approfondimento. Il manager del Cardarelli non è certo un farabutto, è ovvio che il procedimento giudiziario dovrà fare il suo corso come giusto che sia, ma è normale che una persona da sempre estranea a vicende criminali sia arrestato, sbattuto su tutti i giornali e la cui carriera e vita privata siano ovviamente lese, a prescindere del finale che avrà l’intera inchiesta? La risposta è no! Ma le recenti manifestazioni di solidarietà nei suoi confronti fanno ben sperare, vuol dire che esiste una piccola porzione di società che non ci sta a subire la pressione della magistratura inquirente. Del resto negli ultimi anni, con la “scomparsa” del berlusconismo, l’azione giudiziaria ha sconfinato anche in altre aree politiche. Il braccio giustizialista della sinistra è stato disarmato per armare quello del Movimento 5 Stelle, ma molte indagini hanno colpito anche la sfera grillina (basta pensare agli avvisi di garanzia per le sindache pentastellate Virginia Raggi e Chiara Appendino).

Questo ha creato una sorta di rigetto per una certa parte della magistratura che stando ai sondaggi non gode più di una grande considerazione popolare. Ma questo non basta, la politica deve avere coraggio. Deve parlare di nuovo di immunità parlamentare, deve discutere e approvare una riforma seria della giustizia che preveda anche la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e quella giudicante. Il problema che questo coraggio diventa debole nel momento in cui potrebbero fioccare gli avvisi di garanzia, da sempre in questo paese, sinonimo di condanna. Tuttavia, negli ultimi anni, è stato riscoperto il principio del garantismo che si è opposto con maggiore energia a quello “manettaro” promosso da tanti politici, magistrati e giornalisti. Ma le idee restano confuse, i partiti sono ancora incapaci di fornire risposte adeguate alla società che dovrebbero governare e gli amministratori pubblici (soprattutto quelli onesti e che svolgono bene il loro lavoro) sono timorosi di agire, fare riforme, nuove leggi e dispositivi perché il cambiamento potrebbe causare la messa in moto della famosa “macchina del fango” pronta a divorare questi “uomini di buona volontà”.

Ma queste sono solo chiacchiere, quelli che contano davvero sono i fatti e questi ultimi ci dicono che sono tanti i protagonisti del mondo giudiziario che hanno tentato l’avventura politica. Alcuni sono stati fortunati (Antonio Di Pietro – anche se oggi è fuori dai giochi – e Luigi De Magistris), altri meno (ad esempio Pietro Ingroia). L’ultimo è Pietro Grasso, ex Pm e Presidente del Senato che si accinge a diventare il leader di una coalizione che comprende gli schieramenti politici a sinistra del Partito Democratico. Forse è proprio vero, l’Italia è il paese del Gattopardo, “cambia tutto per non cambiare nulla“.