Via San Biagio dei Librai, una delle vie più famose di Napoli, e al contempo una delle più importanti storicamente perchè univa il Decumano Maggiore e quello Minore, al numero 39 ospita da secoli il Palazzo di Capua della Riccia, meglio noto come Palazzo Marigliano. Come si sia passati alla nuova denominazione, è facile intuirlo: passaggi di consegne. Come spesso accadeva per le grandi famiglie, alcuni dei loro rami si estinguevano, o dissipavano le ricchezze del proprio casato, fino a dover vendere le loro proprietà.
La storia del Palazzo di Capua della Riccia ripercorre la prima delle due opzioni. Cominciò nel 1500, grazie alla volontà di Bartolomeo di Capua, nono conte d’Altavilla e primo dei principi di Riccia. Personaggio di straordinaria generosità e fedeltà alla corona d’Aragona, riuscì a rientrare nelle grazie di Ferdinando II d’Aragona. Lo testimoniano i titolo di Maestro Portolano nelle province di Capitanata e Terra di Bari, e varie proprietà che gli furono offerte gratuitamente a compenso dei suoi servigi.
Quando a Ferdinando II successe Federico, fu nominato viceré di Capitanata e Contado di Molise. Era il 1512 quando anche Ferdinando il Cattolico, terzo sovrano sotto cui prestò servizio Bartolomeo di Capua, gli affidò un vicereame, quello degli Abruzzi. Non si poteva proprio chiedere di più. Ma una serie tale di riconoscimenti reali proiettava il lignaggio dei Di Capua della Riccia su vette dietro le quali non ci si poteva più nascondere.
Era necessario un palazzo adeguato all’importanza del casato. E così Bartolomeo di Capua utilizzò una serie di case in San Biagio dei Librai, alcune di sua proprietà, altre concesse in dono dal re, come base per il sontuoso palazzo che sarebbe nato nel volgere di un solo anno: il Palazzo di Capua della Riccia. I lavori cominciarono nel 1512, e nel 1513 erano già conclusi. A disegnare il progetto, uno dei massimi architetti di Napoli: “Johanni Mormando”.
Il palazzo rimase la residenza ufficiale dei Principi della Riccia per due secoli e molte generazioni. La tradizione di famiglia si interruppe allorquando il Ramo dei di Capua che discendeva dal primo Principe della Riccia, si estinse. Quantomeno bizzarra la circostanza per cui, l’ultimo dei principi della Riccia ad abitare il palazzo di famiglia, era omonimo di quel Bartolomeo di Capua che ne volle la costruzione.
Bartolomeo di Capua, ventesimo conte d’Altavilla, esattamente come il capostipite, si distinse per meriti speciali nei confronti del sovrano. Il Bartolomeo settecentesco si immolò addirittura in battaglia (1744, Battaglia di Velletri) per salvare il suo re, Carlo di Borbone, rimanendone però gravemente ferito. Il Re, inutile dirlo, salutò il suo gesto con gran profusione di doni. Ciò che non poteva proprio donargli, era un erede.
Per garantire una linea di continuità alla sua famiglia, Bartolomeo decise di lasciare tutto a Francesco Sanseverino, conte di Saponara, con l’obbligo di portare il cognome dei Di Capua. Francesco Sanseverino accettò di buon grado, ma questo nuovo innesto nel ramo di famiglia non portò i risultati sperati. Il nipote di Francesco Sanseverino, altro Francesco, concluse di fatto l’esperienza dei Sanseverino nel palazzo dei Di Capua, rimanendo anch’egli senza eredi.
Il palazzo venne acquistato all’inizio del 1800 da un cugino, tale Francesco Saverio I Marigliano, di professione, giudice, come tanti del suo casato. I Marigliano. Non si trattava di un’antica famiglia nobile come quella dei Di Capua, ma di signori abituati a posizioni di rilievo nella magistratura, onorati del titolo di duchi solo per una casualità, la fortunata concessione di un’anziana duchessa.
Ad inizio 1900 il palazzo Marigliano conobbe una nuova fioritura, grazie all’amore dei due proprietari di allora per la vita mondana e le feste in società. Si trattava di Aniello Marigliano e Hortense Jackson Jarvis, donna dai gusti raffinati, di cui la residenza divenne specchio fedele. Oggi quei locali da sogno sono occupati dalla soprintendenza archivistica per la Campania. Li ha comprati lo Stato e ne ha fatto sede di una delle sue propaggini amministrative.
Grandissimi nomi hanno contribuito nel succedersi di eventi e proprietari al miglioramento costante di questo palazzo straordinario. Innanzitutto il già citato Mormando, di cui sopravvive molta parte della facciata, e purtroppo nulla del portale in piperno. Fedele Fischetti per gli affreschi, Nicola Lamberti e Antonio Bozzaotra per gli intagli delle cornici delle porte, Giovan Battista Maffei, pittore per molti degli ovali che impreziosiscono le porte.
Moltissimi anche i luoghi incantevoli del palazzo. La famosissima Sala delle Armi, col gigantesco camino in piperno, il soffitto in legno, e le pareti puntellate per tutto il perimetro con le armi dei parenti dei Marigliano. Poi c’è il Salone delle Feste, col soffitto che immortala le gesta di Bartolomeo Di Capua nella battaglia di Velletri.
Vanno assolutamente ricordate anche la cappella privata (che un tempo era fornita di un numero spropositato di oggetti e paramenti sacri preziosissimi), la collezione di quadri degna di una mostra moderna, la biblioteca, anch’essa un tempo fornitissima, e soprattutto il giardino pensile. Un must, si direbbe oggi, per chi ambiva ad una residenza moderna e tradizionale al contempo.
In più di un punto di Palazzo Marigliano si ritrova la scritta “Memini”, espressione nella quale da un certo punto in poi si identificarono i membri della famiglia Di Capua, ma che finì per esser cara anche ai Marigliano. Intorno al 16° secolo Ferdinando II d’Aragona urlò più volte quella parola ad Andrea di Capua, di fronte al cadavere di suo fratello Giovanni, morto per salvare il suo re in battaglia.