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La chiesa di Santa Maria Maggiore tra ianare e il diavolo – maiale

Se la Pietra Santa da cui prende il nome la Chiesa di Pietrasanta fosse quella lastra di marmo affissa su un lato del campanile, il mistero della sua sparizione non sarebbe più così fitto: la Pietra Santa sarebbe sparita sotto una tripla coltre di vernice spray, la prima verde, la seconda nera, la terza bianca. Uno di quegli atti vandalici concessi dalla fiducia e partoriti dall’ignoranza. Ma quella lastra di marmo non è affatto la Pietra Santa scomparsa, che resta tutt’oggi irreperibile.

Quella lastra è un antichissimo “ludus latrunculorum”, un gioco che appassionava i soldati romani, antesignano della nostra “dama”, nel quale strategia, tattica, e capacità riflessive erano le doti necessarie per riuscire vincitori. Il Ludus Latrunculorum è quindi una testimonianza di tempi antichissimi, un reperto che avrebbe meritato certamente miglior sorte, che far da vetrina a qualche scarabocchio moderno.

Ma è andata così. D’altra parte la stessa mancanza di rispetto per la storia e per l’arte la si dimostrava secoli addietro abbattendo monumenti dell’antichità per risparmiare sui costi dei materiali edili, nel momento in cui ci si apprestava a costruire nuovi palazzi nobiliari. Era consuetudine perpetrata a Napoli soprattutto nel 1600.

Altre ragioni, invece, portarono alla distruzione del Tempio di Diana nel 533. Una di queste fu l’individuazione della Pietra Santa. Di cosa si trattava? Per scoprirlo, come spesso accade, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, e registrare di Napoli l’ennesima convergenza tra sacro e profano in un unico luogo.

Sorgeva anticamente nell’attuale Piazzetta di Pietrasanta, in luogo della Chiesa di Santa Maria Maggiore, dove a ridosso dei palazzi ancora è possibile ammirare il campanile, il Tempio di Diana. Da sempre Napoli ha avuto un culto particolare per questa divinità pagana, la Dea della Caccia, con forti connotazioni protettive nei confronti delle partorienti, che affidavano a lei le speranze per un parto indolore.

Il fatto che Diana fosse stata assimilata sin dagli albori alla Dea greca Artemide, e in un certo senso ne fosse stata contaminata, convogliò nella Dea romana anche una particolarità propria della Dea della Caccia ellenica: la lunarità. Artemide era infatti la personificazione della luna crescente, con Selene (luna piena), ed Ecate (luna calante).

Tutto quanto riguardi la luna è sempre stato trascinato per forza di cose nell’ambientazione più consona al satellite terrestre, la notte, il mistero, l’indefinito, l’occulto. Non c’è da stupirsi, quindi, se le più fervide sostenitrici della Dea Diana (usiamo il femminile, perchè al parto sereno erano interessate soprattutto le donne), furono streghe.

Che la loro fosse una scelta, o un’accusa rivolta da terzi, il dato certo è questo: a Napoli c’erano le ianare, streghe inafferrabili, la cui leggenda nasceva in realtà a Benevento, ma si estese a macchia d’olio nel resto della Campania. Erano donne che, nell’inversione del culto positivo di Diana, provocavano con incantesimi e sortilegi l’infertilità nelle donne, e ogni genere di maleficio agli uomini.

Il luogo nel quale prediligevano riunirsi per i loro sabba era proprio il vecchio Tempio di Diana. E lì, tra gli abitanti del posto, cominciò a diffondersi la convinzione che il demonio, invocato dalle seguaci di Diana, assumesse le fattezze di un maiale, e tutte le notti si divertisse a terrorizzare i passanti col suo grugnito assordante.

E’ in questo contesto che nel 533 si cominciò a sentir parlare per la prima volta della Pietra Santa. Il Vescovo Pomponio annunciò ai fedeli di aver fatto un sogno. La Vergine gli avrebbe chiesto di costruire una grande chiesa in suo nome. Dove? Dove, coperta da un fazzoletto, avrebbe trovato una pietra con su incisa una croce.

Quella pietra, la Pietra Santa, avrebbe avuto il potere di concedere l’indulgenza plenaria a chiunque l’avesse baciata con devozione. E dove trovare quella pietra? Guarda caso, nei pressi del Tempio di Diana, quel problematico ed ingombrante moltiplicatore di paganesimo, che tanta parte del popolo napoletano avvinceva ancora tenacemente ad un mondo che si sarebbe voluto eliminare per sempre.

La chiesa doveva quindi sorgere sul Tempio di Diana. E per poter procedere, era necessario abbattere la vecchia struttura, polverizzarla e fare in modo che scomparisse dal suolo e dalla memoria collettiva. Operazione in parte riuscita. In parte, però. Si era a Napoli. Ogni imposizione ingenera una reazione uguale ed inversa.

La leggenda del maiale posseduto dal demonio, che imperversava per le strade della piazzetta di Pietrasanta, continuò in realtà a sopravvivere proprio grazie ad una decisione di Pomponio, che volle ribadire la sua vittoria esibendosi una volta l’anno, dalla finestra della Chiesa di Santa Maria Maggiore, in un taglio della gola del porco, cruento quanto significativo.

La sua vittoria sul demonio celebrata come ricorrenza, riesumava in realtà quel mondo pagano che il Vescovo intendeva cancellare. Si parlava di demonio, certo, presente nella Bibbia ed in questo senso, creatura cattolica. Ma a tutti fu chiaro ancora a lungo chi quel demonio l’aveva evocato. Seppur nella sconfitta, le ianare di Diana, sopravvivevano. E l’eco di quel grugnito non demorde ancora oggi, anche tra queste righe.