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Il Regno di Napoli come la Germania, la guerra per l’Unità d’Italia a colpi di bond

Quando si parla di Unità d’Italia, si reagisce istintivamente in due maniere differenti. O si richiama alla mente quella gloriosa e patriottica annessione tra Nord e Sud, che ha finalmente sanato il frazionamento contro natura degli stati e degli staterelli italiani prima del 1860. O si reagisce da meridionali consapevoli di aver subito ad opera dei Savoia un vero e proprio latrocinio. I dati, TUTTI i dati, confermano che l’Unità d’Italia ha arricchito il Nord e immiserito il Sud. Come si è riusciti a far passare quest’operazione come un bene condiviso?

Con la propaganda anti-borbonica. Una spietata, costante, martellante campagna del fango su un regno, quello borbonico, che macinava primati, ricchezza, e innovazione, molto oltre ciò che i sabaudi avrebbero mai sperato di poter ottenere un giorno con le proprie forze. Un esempio di denigrazione internazionale valga per tutti: la storia delle carceri borboniche.

William Ewart Gladstone, rappresentante del governo inglese, giunge a Napoli nel 1850 per curare una malattia che assillava gli occhi di sua figlia (da Londra a Napoli, per i migliori dottori, sottolineiamolo). In quell’occasione, neanche minimamente grato alla città i cui luminari consentivano alla figlia di essere curata, cominciò a pontificare sulla situazione carceraria partenopea.

Raccontò di essersi recato in visita ad un recluso inglese, e per descrivere la gestione delle carceri nel Regno delle Due Sicilie, usò parole come “deliberata violazione di ogni diritto”, “la negazione di Dio, la sovversione d’ogni idea morale e sociale eretta a sistema di governo”. Parole che urlavano sdegno e riprovazione. Cosa avrà mai visto Sir Gladstone in Naples?

Niente. Assolutamente niente. Il Lord inglese non aveva mai messo piede in un carcere partenopeo, come per sua stessa ammissione confessò candidamente molti anni dopo le sue dichiarazioni mendaci. E allora perchè mai screditare in maniera così spudoratamente falsa il sistema carcerario di un regno anziché cogliere l’occasione per star zitti?

Se è vero che gli interessi inglesi non consistevano propriamente nell’appropriarsi delle ricchezze borboniche, come fecero i Savoia con l’Unità d’Italia, è altrettanto vero che il mercato globale era pesantemente condizionato dalla concorrenza borbonica, specie nel campo dello zolfo e dei traffici nel Mediterraneo.

Attaccare il sistema carcerario di uno stato, bollandolo come la negazione della civiltà, significa creare nell’immaginario globale di chi con quello stato è in affari un’impressione di inaffidabilità, un senso di repulsione morale tale da inficiare relazioni commerciali basate si, sul reciproco interesse, ma anche e soprattutto sulla reciproca fiducia. Se quella fiducia veniva meno, venivano meno anche i traffici.

Questo si nascondeva dietro la bugia di Sir Gladstone. Questo si nascondeva dietro le bugie degli inglesi. Questo e molto, moltissimo altro, si nascondeva dietro le bugie sabaude, che cominciarono a circolare in Italia qualche anno prima che l’Italia stessa nascesse, nel tentativo di smuovere tutte le coscienze anti-borboniche, e quelle che ancora anti-borboniche non erano.

Per curiosità, andiamo a controllare la reale situazione delle carceri borboniche mentre in Europa si spargeva l’eco delle parole di Gladstone. Nel 1841 i sovrani borbonici si interrogavano circa la differenza tra “case di custodia e carceri di pena”. Si voleva insomma provare a superare il concetto di gattabuia, delle segrete, delle prigioni.

Le differenze di censo esistevano, unitamente ad altre differenze studiate però per il beneficio dei carcerati. Non potevano coesistere nella stessa cella persona di sesso differente, per evitare abusi o promiscuità; non potevano coesistere nella stessa cella uomini adulti e ragazzini, donne e fanciulle.

Erano inoltre previste attività che preservassero i carcerati dall’ozio e dalla noia, e ripagassero parzialmente le spese sostenute per mantenerli decorosamente in vita. Attività scelte secondo le inclinazioni e le attitudini di ognuno. Non di secondaria importanza era l’istruzione nei mestieri, nelle scienze, nella lettura. A metà del 1800, insomma, le carceri borboniche sperimentavano già la cosiddetta riabilitazione.

Chi ci garantisce, però, che i documenti ufficiali borbonici, da cui è tratto ciò che sinora abbiamo scritto, fossero rispondenti al vero? Un dato valga su tutti. Nel 1841, proprio nell’anno in cui i borboni annunciavano le nuove idee nella gestione delle carceri, il principe di Svezia e Norvegia si reca in visita in alcune carceri napoletane, ed annuncia ufficialmente la volontà di ispirarsi al sistema penitenziario partenopeo. Nessuno sembra palesò indignazione.

E allora si è davvero legittimati a parlare di propaganda anti-borbonica. Il Regno delle Due Sicilie era invece ricco e innovativo. E probabilmente la seconda qualificazione contribuiva in maniera decisiva alla prima. Siderurgia, marina, ferrovia, illuminazione, medicina, scienze, astronomia, tutti campi strategici in cui i Borboni non avevano rivali in Italia, e risultavano fortemente concorrenziali in ambito internazionale.

Vi ricorda qualcosa la parola “tasse”? Il problema che l’Italia si porta dietro da decenni, il fardello che ogni italiano acquista gratis dal momento della nascita in poi, durante il Regno dei Borboni era invece un felice primato al ribasso. La leggendaria Inghilterra, col suo essere sempre una spanna davanti agli altri, dovette arrendersi al fatto che i Borbone chiedevano ai loro cittadini il 30% in meno di quanto la corona inglese chiedesse ai propri.

Se si acquistavano titoli di stato borbonici, beh, le cose andavano leggermente meglio che ora. Quei titoli erano in assoluto i più redditizi di tutta Europa: sicuri, stabili, proficui. I bond del Regno Borbonico pagavano i tassi più bassi, di conseguenza lo spread, che indicava già da allora la capacità statale di restituire i prestiti, era ben diverso da quello dell’Italia di oggi.

Altra parola che oggi va molto di moda: debito pubblico. Negli anni 1820-1821 Ferdinando Borbone si ritrovò in una situazione economica deficitaria, tanto che il debito pubblicò aumentò vertiginosamente. La cosa richiedeva un rapido intervento, per fare in modo che potesse rimanere sotto controllo.

Il sovrano avviò una stagione di riforme durata tre anni, e basata su due cardini principali: diminuzione delle tasse, opere pubbliche (compresi i lavori per creare strade in un territorio difficilissimo da domare, a causa degli Appennini da un lato, e della conformazione montuosa siciliana dall’altro ). Risultato: economia in attivo e disoccupazione al minimo storico.

Altro termine di cui si riempiono la bocca i politici di oggi, quando devono scaricare le loro responsabilità su chi li ha preceduti: il PIL. Il Prodotto Interno Lordo di uno Stato è la traduzione in cifre di quanto uno stato produce in termini di beni e servizi. Sapete di chi era il PIL più alto in Europa, al tempo dei Borboni? Dei Borboni.

Tutto porta a pensare che il regno borbonico di allora era in Europa ciò che oggi è la Germania. Economicamente un colosso. A questo si aggiungano altri dati ancora. I beni demaniali erano giganteschi. Se gli altri stati italiano avessero unito i propri, non sarebbero mai arrivati a coprire le superfici statali presenti tra Napoli e Sicilia.

Cosa successe con l’Unità d’Italia? Al momento della fondazione il patrimonio italiano corrispondeva a circa 670 milioni. La quantità di ricchezze portata dal Mezzogiorno era di quasi 450 milioni. Il contributo del glorioso Piemonte alla ricchezza italiana? 27 milioni. Commovente. La Lombardia? 8 milioni. Incommentabile.

Questa la situazione nel 1860. Dopo l’Unità d’Italia, guardate come cambiano le cose. Il Mezzogiorno produce ricchezza per un totale di 131 milioni (l’anno prima erano 450). Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna, da un totale di 80 milioni circa nel 1860 (di cui 50 solo dalla Romagna) passano misteriosamente alla ragguardevole cifra di 302. Dall’Unità d’Italia ad oggi, la situazione di nord e sud è conseguenza diretta di un affare economico, tutt’altro che patriottico.