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Michele De Jorio e il primo codice della navigazione del mondo

Se si è sentito anche solo parlare dell’innumerevole serie di primati che i Borbone sono stati capaci di ottenere nel corso del loro lungo regno, quasi non stupisce che il primo codice della navigazione, redatto in forma sistematica, fu realizzato grazie alla volontà di Ferdinando IV, e alla competenza della persona cui fu affidato il delicato incarico: Michele de Jorio. Non si tratta del vezzo di un sovrano in vena di record, ma di un primo serio tentativo di dare una regolamentazione ad un’attività che interessava fortemente i Borbone sia sul piano economico che su quello militare.

I numeri parlano chiaro. La flotta che potevano vantare i Borbone costituiva i ⅘ delle navi italiane. In campo internazionale era quarta, e contava 9800 bastimenti, di cui più di cento erano a vapore. Quaranta cantieri navali, venticinque compagnie di trasporto, trattati commerciali con i principali paesi europei. E non sfuggano l’importanza dei citati cantieri navali e della produzione di navi a vapore, che meritano approfondimento.

Fu nel Regno delle Due Sicilie, infatti, che fu costruita la prima nave a vapore. E diversamente dai concorrenti che ne seguirono l’esempio, i progettisti borbonici riuscirono a fare in modo che potesse navigare in mare aperto, anziché limitarsi a brevi tratte interne ai porti. Era il 1818 quando la Ferdinando I solcò i mari per la prima volta, anticipando l’Inghilterra di ben quattro anni. La stessa Inghilterra che da decenni dettava i tempi dello sviluppo tecnologico a tutto il mondo.

Il cantiere di Castellammare di Stabia, poi, rasentava la leggenda. In Italia non c’era potenza storica navale che potesse competere con i numeri del cantiere borbonico. Lì si costruivano le basi della flotta mercantile e militare dei sovrani grazie a macchinari all’avanguardia e ad una mano d’opera professionale, qualificata, e soprattutto numerosissima. I registri parlano di 1800 operai.

L’attenzione che i Borbone riservarono alla marina fu assoluto fin da Carlo III. Tutti i sovrani suoi eredi considerarono strategico quel settore, e ne curarono lo sviluppo. Mancava però il fronte legislativo, del quale si occupò Michele de Jorio. Nato a Procida nel 1738, De Jorio si dimostrò fin da subito propenso ad accumulare una serie disparata di saperi che fecero ben presto di lui un uomo di cultura eclettico ed apprezzato.

La sua professione era l’avvocatura, ma prima di dedicarvisici, pubblicò una Storia dei Regni di Napoli e Sicilia che suscitò plausi e riconoscimenti in tutta Italia. Altra occupazione del tutto estranea alla sua attività fu la redazione di una Storia del Commercio e della Navigazione, scritta intorno al 1770, che non riuscì ad ultimare perchè venne chiamato ad insegnare nell’Accademia di Scienze e Belle Lettere.

Anche in questo caso, una nuova sfida lo attendeva dietro l’angolo. All’ammiraglio e Ministro John Francis Edward Acton, uomo di fiducia di Ferdinando IV, non sfuggì la competenza acquisita da Michele De Jorio durante i suoi studi per la pubblicazione della Storia del Commercio e della Navigazione. Pertanto si decise di impiegare le sue doti di saggista, le sue conoscenze professionali, ed i suoi interessi nell’ambito della marina, per la redazione del primo Codice della Navigazione al mondo.

E proprio al mondo era rivolta un’opera che, nient’affatto autoreferenziale, intendeva proporsi con vasto respiro internazionale, tale da candidarsi a punto di riferimento per i contemporanei europei, e materia di studio e riflessione per tutte le legislazioni marittime che al cosiddetto “Codice Ferdinando” avrebbero fatto seguito. L’opera risultò mastodontica, e costò a Michele De Jorio due anni della sua vita.

Non sempre l’impianto e le teorie del suo codice navale risultavano netti, a causa dell’eterogeneità dei suoi interessi, a cui De Jorio dimostrava di tenere in egual misura. Sosteneva ad esempio la supremazia dei prodotti della terra se il discorso verteva sull’agricoltura, e si dimostrava al contempo fervido mercantilista quando affrontava la questione dei commerci.

Riguardo questi ultimi rivelava chiaramente la sua propensione al liberismo, finchè non parlava di protezionismo, strategia che lo convinceva parimenti. L’apparente contraddizione si spiega in virtù del relativismo con cui analizzava contesti e situazioni pregresse, attribuendo alla contingenza della situazione storica ed economica di un popolo un’importanza decisiva nell’elaborazione delle giuste soluzioni commerciali.

Lo stesso relativismo dell’impianto pratico veniva contrastato nei suoi scritti da una profonda passione per la sistematicità delle teorie legislative. Credeva infatti nella funzione della legge quale elemento d’ordine nel marasma delle combinazioni possibili tra economia, commercio, storia, e attitudini dei popoli.

Il Codice della Navigazione di De Jorio non fu mai ultimato, a causa degli sconvolgimenti politici che videro i francesi subentrare ai Borbone nel governo del Regno di Napoli. Oltretutto, tale Domenico Alberto Azuni, incaricato da Napoleone di redigere un codice del commercio, attinse a piene mani dall’opera di De Jorio, appropriandosi delle sue teorie, e proponendole come fossero proprie.