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Il Trattato di Casalanza, quando i Borboni si inginocchiarono agli austriaci

Negli anni che vanno dal 1805 al 1815 a Napoli regnarono i francesi, nelle persone prima di Giuseppe Bonaparte (fratello di Napoleone), e poi di Gioacchino Murat (il genero). Il cosiddetto decennio francese terminò ufficialmente con il Trattato di Casalanza, sottoscritto da austriaci, inglesi, e due rappresentanti di Murat. Ma precisamente, Casalanza cos’è? E’ esattamente ciò che suggerisce il nome. Si trattava della casa del Barone Lanza, il posto in cui materialmente fu firmato il Trattato.

Come si ritrovò questo casolare di campagna ad ospitare una fase tanto cruciale della storia di Napoli, è una circostanza (o una coincidenza, se volete) tutta da raccontare. E’ bene sottolineare sin da subito che il Barone Lanza era del tutto estraneo alle turbinevoli vicende politiche che stavano sconvolgendo rapidamente Napoli in quegli anni, fino a poco prima della storica firma. Suo malgrado, si ritrovò a subirle.

Aveva edificato quel casolare pochi anni prima, nel 1794, per fare un regalo a sua moglie. Si legge infatti nei suoi stessi scritti che aveva voluto premiare l’amore e le qualità coniugali della consorte, donna Giuseppina, donandole una residenza di campagna che avrebbe potuto parzialmente compensarla dei sacrifici affrontati vivendo con lui in un piccolo appartamento a Spartimento di Roma (Torre Lupara).

Quel casolare si trovava a pochi chilometri dalla loro precedente residenza, nel territorio di Pastorano (vicino Capua). Sorgeva sulle rovine di una antica masseria, che il Barone ordinò di rimettere in piedi, ampliandola abbondantemente e corredandola di ogni genere di comfort. Si legge un certo orgoglio, tra le sue righe, quando afferma che investì in questo “regalo” più di 4000 ducati dell’epoca.

All’epoca in cui il Barone acquistò Casa Lanza, Napoli era scossa delle idee giacobine provenienti dalla Francia, che rapidamente si diffondevano nei circoli intellettuali e culturali della città. Al potere, però, c’erano ancora i Borboni, i quali, per scoraggiare sul nascere pericolose ideologie rivoluzionarie, cominciarono proprio nel 1794 a condannare a morte i primi repubblicani.

Quei venti rivoluzionari penetrarono comunque a Napoli, e lo fecero con le armi dei francesi, i quali si presero la città, prima con Giuseppe Napoleone e poi, a partire dal 1808, con Gioacchino Murat. Era re di Napoli, Gioacchino Murat, certo, ma pesantemente condizionato dal centralismo napoleonico. Nonostante la parentela, Murat mal digeriva le ingerenze di Napoleone nella gestione del suo regno.

E così, ritenendo che presto o tardi le sue iniziative personali in campo internazionale gli avrebbero procurato serissime ripercussioni da parte della madre patria, Murat tentò di cautelarsi stringendo un accordo con l’Austria, che obbligava Napoli a schierarsi contro la Francia, e gli Austriaci a garantire l’autonomia del regno di Murat. Era il Gennaio 1814.

A settembre dello stesso anno cominciò il Congresso di Vienna, che avrebbe ridisegnato l’Europa con assetti ben definiti. Murat poteva dormire sonni tranquilli, considerando lo strapotere del suo alleato. Ma i Borbone, chiamiamola corruzione, chiamiamolo pagamento, riuscirono ad ingraziarsi il favore asburgico, preparando il loro clamoroso ritorno a Napoli.

Murat venne a sapere del cambio delle carte in tavola, e fece altrettanto, rischierandosi con Napoleone. Non si limitò a questo. Decise di anticipare i tempi del nemico, l’Austria, attaccandolo in maniera improvvisa e diretta. Il 3 Maggio del 1815 la battaglia di Tolentino sancì la superiorità militare degli austriaci. Murat ordinò alle truppe di tornare a Napoli, per difendere la città. Ma la stanchezza e le diserzioni ebbero la meglio.

Gli austriaci lo braccarono fino alle porte della città, da cui Murat fuggì il 19 Maggio. E proprio in questa data si incrociano le vicende private del Barone Lanza e quelle politiche della guerra tra Austria e il Regno di Napoli. Gli austriaci stabilirono il loro quartier generale in quel casolare isolato nei pressi di Capua. Il Barone Lanza non se la sentì di opporre alcuna resistenza.

Quando Murat abdicò e diede mandato ai suoi generali di trattare con gli austriaci e gli inglesi (che nel frattempo erano scesi in guerra insieme agli alleati asburgici), le trattative furono condotte proprio nel nuovo quartier generale austriaco: Casa Lanza, dove il 20 Maggio 1815 fu firmato il Trattato che preparò il ritorno dei Borbone a Napoli e sancì la fine dell’esperienza francese.

Ferdinando IV tornò a Napoli in pompa magna l’8 giugno del 1815, forte di un preaccordo con l’Austria risalente al 29 aprile dello stesso anno, che gli costò però una cifra spropositata, e l’ammissione implicita di contare nello scacchiere politico europeo quanto un due di picche. A prendere le decisioni di stampo internazionale, infatti, sarebbe stata l’Austria.

Il preaccordo trovò poi concretizzazione in tre punti precisi sanciti nel Congresso di Vienna, secondo cui avrebbe dovuto fornire soldati per eventuali insurrezioni in territorio italico, eseguire gli ordini austriaci in campo militare, e attuare politiche interne non in contrasto col potere che potremmo a questo punto definire “centrale”.

Ma che fine fece il casolare di campagna dei Lanza? Casalanza assunse nel circondario un potere di attrazione eccezionale. Lontano dai riflettori, la cappella di famiglia, che il Barone Lanza aveva fortemente voluto per sua moglie, diventò un centro di ritrovo e di preghiera per tutti i contadini del circondario.

Ogni domenica la messa non cominciava se non arrivava il Barone Lanza, che comunque tardava di rado. E dopo la funzione, grandi tavolate e mangiare genuino in abbondanza per tutti. Il luogo in cui Napoli si liberò dei francesi, e si oberò degli austriaci, fu trasformato in un’occasione privata per stare tutti insieme in allegria. Quant’è napoletano tutto questo, lo si può comprendere solo in questa terra meravigliosa.

Questa tradizione proseguì fino al 1943 quando uno squadrone di tedeschi in fuga trovò indispensabile far saltare in aria la residenza dei Lanza, mandando in fumo, insieme a molta parte del mobilio, la scrivania su cui fu firmato il Trattato di Casalanza. A salvarsi solamente il drappo su cui furono apposte le firme.