Il San Carlo di Napoli è, tra i teatri in attività, il più antico al mondo. Fondato nel 1737 per volere di Carlo di Borbone, anticipò di un cinquantennio sia La Scala di Milano che la Fenice di Venezia. E dal 1737 ha sempre mandato in scena opere e balletti prestigiosi, eccezion fatta per due anni, nei quali il teatro rimase chiuso perchè scarseggiavano i finanziamenti. Oggi, dopo tre secoli di successi, è ancora lì, a rappresentare degnamente Napoli nel mondo.
Tre secoli che hanno visto le più eminenti personalità artistiche legate al mondo dell’opera e del balletto esibirsi su quel palco. Tre secoli nei quali il teatro ha rischiato di soccombere due volte. La prima, nel 1816, a causa di un tremendo incendio che lo rase al suolo. La seconda, nel 1943, a causa dei bombardamenti nemici, che lo danneggiarono seriamente in più punti. In entrambi i casi, il San Carlo s’è comportato da Fenice, ed è risorto dalle proprie ceneri.
La volontà di Carlo di Borbone, deciso a fare di Napoli una delle capitali europee più prestigiose, era quella di creare un teatro che potesse soppiantare il vecchio San Bartolomeo, proponendosi sulla scena culturale internazionale come elegantissima cassa di risonanza dell’opera a Napoli, nonché valida alternativa alla concorrenza europea esistente.
Il San Bartolomeo venne quindi distrutto, riciclato il suo legname, risarciti i suoi gestori con una rendita annuale pari ai ricavi che riscuotevano dal vecchio teatro. Il contratto per la costruzione del San Carlo, stipulato il 4 Marzo del 1737, per una cifra che oggi si aggirerebbe intorno al milione e mezzo di euro, imponeva i lavori ultimati entro la fine dell’anno.
Giovanni Antonio Medrano e Angelo Carasale (architetto e appaltatore) fecero ancora meglio. Il 4 Novembre 1737 il teatro San Carlo era pronto ed operativo, tanto che se ne festeggiò l’inaugurazione con l’opera Achille in Sciro, di Metastasio (libretto) e Domenico Sarro (musiche). Il 4 novembre era anche l’onomastico di re Carlo, presente alla prima.
La scelta di costruire un Teatro fino a quel momento senza eguali per architettura, decorazioni, addobbi, acustica, unita all’impetuoso successo della scuola musicale napoletana, che annoverava tra le sue fila artisti quali Traetta, Piccinni, Durante, Cimarosa, Paisiello, attirò su Napoli gli sguardi di tutta Europa. L’Europa dei regnanti e l’Europa dei musicisti.
Puntarono a rappresentare le proprie creazioni al San Carlo di Napoli Haydn (il re della musica austriaca), Johann Cristian Bach (il figlio del più celebre Johann Sebastian), Gluck (il re della musica francese). Ma anche per i cantanti il teatro partenopeo cominciò a diventare un approdo, o un trampolino di lancio per la propria carriera.
Nel 1809 Gioacchino Murat diede il teatro in gestione ad uno degli impresari più lungimiranti della storia del San Carlo, Domenico Barbaja, il quale si trovò immediatamente ad affrontare una delle peggiori tragedie capitate al Teatro San Carlo: il 12 Febbraio 1816 l’intero edificio andò completamente distrutto in seguito ad un incendio.
Re Ferdinando I di Borbone, nel frattempo ritornato a stringere le redini del suo regno, sei giorni dopo la tragedia, ordinò il teatro fosse ricostruito esattamente com’era prima dell’incendio. I lavori furono coordinati da Niccolini, che non solo riportò il teatro al recente splendore, ma ne migliorò, se possibile, alcuni aspetti come la spaziosità e l’acustica.
Si racconta che Domenico Barbaja, nel tentativo di reperire quanti più fondi possibili per finanziare i lavori di ricostruzione, riuscì a farsi nominare gestore della sala da gioco interna al teatro della Scala di Milano. Lì, grazie alle sue doti di giocatore, e ad una furbizia sconosciuta ai ricchi milanesi dell’epoca, si procurò ingenti somme di denaro.
Anche in questo caso non trascorse un anno, che il Teatro era di nuovo in piedi (pensiamo, per farci un’idea, alle ere geologiche che si succedono in Italia prima che al giorno d’oggi venga anche solo restaurato un palazzo, o un edificio d’epoca). La seconda inaugurazione avvenne il 12 gennaio 1817. In sala, Stendhal, rimase particolarmente impressionato:
”Non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro ma ne dia la più pallida idea. Questa sala, ricostruita in trecento giorni, è un colpo di Stato. Essa garantisce al re, meglio della legge più perfetta, il favore popolare“. E se lo diceva Stendhal, sincero amante della musica e dei principali teatri europei, possiamo davvero credergli.
La rinascita del Teatro San Carlo, però, non fu l’unico dei meriti del Barbaja. All’impresario napoletano si deve l’intuizione che, per restare sulla cresta dell’onda, il teatro doveva superare i confini della napoletanità, ed affacciarsi al mondo con nuove suggestioni. La scuola napoletana non aveva ancora esaurito tutta la sua verve, ma occorreva qualcosa di nuovo.
Il nuovo al Teatro San Carlo fu rappresentato da un mostro sacro come Gioacchino Rossini. Per otto anni il compositore pesarese rimase a Napoli otto anni, nei quali non solo offrì al San Carlo la prima di molte delle sue opere, ma fu nominato Direttore Artistico dei Regi Teatri di Napoli dallo stesso Barbaja di cui si diceva amico fraterno.
Non fu una gran bella dimostrazione d’amicizia la fuga d’amore con Isabella Colbran, la cantante che fino ad allora era stata l’amante di Barbaja. Con la fuga d’amore di Rossini si concluse la sua esperienza al San Carlo. Gli succedette un altro mostro sacro dell’opera italiana: Gaetano Donizetti, che diresse i Regi Teatri dal 1822 al 1838.
Il più giovane Vincenzo Bellini vide rappresentata la sua prima opera proprio al San Carlo, nel 1826. Ma uno degli autori più amati a Napoli fu Verdi. Nonostante gli innumerevoli screzi con la censura borbonica, affrontati in occasione dell’allestimento di Un Ballo in Maschera, Verdi continuò a far rappresentare al San Carlo le sue opere, con incredibile riscontro di pubblico.
Altra novità introdotta dal Barbaja fu la scuola di ballo. Con la scuola di ballo della Scala di Milano, il San Carlo condivide il primato di scuola di ballo più antica d’Italia. Fondata nel 1812, si avvalse dei servigi dei migliori ballerini e coreografi del tempo. E nel tempo seppe anche sfornare talenti di assoluto rilievo, come Fanny Cerrito, dominatrice ottocentesca.
Fin qui il 1800. Con l’affacciarsi del nuovo secolo, imprescindibile era accoglierne le novità. Il San Carlo rappresentò infatti le opere di Giacomo Puccini, di Mascagni, Leoncavallo, Giordano, Cilea e Alfano. Le suggestioni wagneriane penetrarono anche a Napoli, grazie alla figura di Giuseppe Martucci. Al San Carlo Strauss assiste di persona alla sua Salomè.
Dal 1915 al 1927 la gestione del Teatro è in mano ad Augusto Laganà. Un altro personaggio di larghe vedute dirige ottimamente le sorti del San Carlo fino alla costituzione dello stesso in Ente Autonomo. Per dieci anni apre le stagioni operistiche con un’opera wagneriana. Accoglie artisti emergenti italiani come Zandonai e Pizzetti, i cui testi vengono scritti da D’Annunzio.
Per tre anni, dal 1943 al 1946, il teatro è in mano alle truppe inglesi, che lo aprono al pubblico, ma ne fanno sostanzialmente un passatempo per le truppe alleate. Nel 1948 il San Carlo torna ad essere Ente Autonomo, e riprende il suo ruolo di primo piano nella diffusione della cultura musicale internazionale.
Hanno calcato le scene di questo glorioso teatro nello scorso secolo e nei primi anni di quello attuale cantanti immortali come Di Stefano, Del Monaco, la Tebaldi, la Callas, la Freni, la Caballè, il tre tenori Pavarotti, Domingo, Carreras; direttori d’orchestra intramontabili come Abbado, Muti, Gavazzeni, Mehta, Sinopoli, Von Karajan; i migliori solisti, come Rostropovich, Michelangeli, Rubinstein, Uto Ughi. E tanti tanti altri di cui l’elenco sarebbe sterminato.