Era nato a Napoli il 29 novembre 1937 Sergio de Simone, il bambino vittima delle atrocità del nazismo. Prima della guerra la vita sembrava scorrere tranquilla e serena, poi con le leggi razziali i bambini ebrei furono espulsi dalle scuole e agli adulti fu impedito di lavorare. Chi decretò l’inizio delle sciagure per il giovanissimo napoletano, Sergio, fu un delatore che fece deportare, insieme a lui, l’intera famigliola alla Risiera di San Sabba e da lì al campo di sterminio di Auschwitz il 29 marzo 1944, con il convoglio 25T.
Sergio fu scaricato sulla rampa di Auschwitz-Birkenau la notte del 4 aprile 1944. Tutti i componenti del suo nucleo familiare furono marchiati con dei numeri, perdendo così la loro identità primaria e la loro dignità di esistenza. Mamma Gisella divenne la numero 76516, Sergio il numero 179614, la zia Mira il numero 76482 e le cuginette, Andra e Tatiana, rispettivamente con i numeri 76483 e 76484. I bambini, fin da subito, furono separati dalle loro mamme e spediti in dormitori differenti. La morte di Sergio pare essere avvenuta in brevissimo tempo. Il referto medico, firmato dal dottor Josef Mengele il 14 maggio 1944, fa riferimento all’ultima visita a cui il piccolo venne sottoposto. Il documento è considerato di inestimabile valore, in quanto conferma la presenza di bambini nel campo di Birkenau.
Da quell’inferno tutto il nucleo familiare, tranne Sergio, tornò a casa. Sì, perché il piccolo Sergio fu tratto in un’atroce inganno. In una gelida mattina del novembre 1944, solo due mesi prima della liberazione del campo, pare che Mengele chiese ai bambini: “Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti“. Inutile dire che la voglia del piccolo Sergio di riabbracciare la madre fosse tanta, fatto che lo spinse ad offrirsi immediatamente. Sergio de Simone fu uno dei 20 bambini assassinati a Bullenhuser Damn. Fu ricordato con un giardino di rose bianche nella scuola, costruita dopo le orribili atrocità, che porta il nome dell’illustre medico e pedagogo polacco Janusz Korczak, morto insieme ai “suoi” bambini nell’orfanotrofio che dirigeva nel ghetto di Varsavia.