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Fontana delle paparelle: i salernitani la rivogliono indietro

La fontana della Tazza di Porfido, della dai napoletani fontana delle paparelle, si trova nella Villa Comunale di Napoli. Il suo bizzarro soprannome (‘a funtana d’e paparelle in dialetto) si deva al fatto che nella vasca in passato nuotavano gruppi di oche o anatre. Fu portata nella città partenopea per volontà di Ferdinando di Borbone nel 1826 che la spostò da Salerno dove era custodita. La fontana delle paparelle si trovava infatti nella cattedrale di San Matteo di Salerno fin dal 1085.

Il re, però, volle portarla a Napoli contro il parere degli abitanti della città che videro il gesto come un vero e proprio sradicamento di un pezzo della loro storia. Ora Salerno rivuole la sua fontana indietro. La richiesta era già stata fatta due anni fa quando l’amministrazione municipale e la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei diedero parere negativo. Proprio in queste ore l’assessore alla cultura del comune di Napoli Nino Daniele ha confermato che la fontana delle paparelle rimarrà a Napoli poiché, ormai, è questo il suo posto.

Fontana delle paparelle: Salerno la rivuole, Napoli dice di no

In una lettera pubblicata sul Corriere del Mezzogiorno Daniele ha infatti dichiarato: “Seppure la vasca sia stata per alcuni secoli nel complesso del Duomo di Salerno essa oggi è parte di un monumento, denominato appunto Fontana della tazza di porfido, che dovremmo distruggere per ripristinare una situazione non più esistente da 200 anni. Ammesso anche che un sindaco di Napoli, in barba alla storia, al parere delle soprintendenze e al buon senso, volesse prendere una tale decisione. l’operazione avrebbe un costo ingente per le casse pubbliche, col paradosso che il comune intraprenderebbe la spesa non per realizzare, restaurare o tutelare un bene culturale ad essa affidato ma per distruggerlo”. L’assessore invita poi le due città simbolo della Campania a unire le forze “per ottenere dai governi nazionali maggiori investimenti nel campo della cultura, piuttosto che attardarsi in inutili dispute campanilistiche, facendo come quei polli di manzoniana memoria che, mentre li portavano a macellare, si beccavano ferocemente tra loro“.