Chi segue il calcio e tifa Napoli, sa che gli inni rappresentativi vanno e vengono. Ma da quasi cinquant’anni ce n’è uno che i napoletani sentono sgorgare spontaneamente dal cuore e dalla gola, ogni volta che una grande vittoria esalta i colori della città: ‘O Surdato ‘Nnammurato. Numerosissimi i video che testimoniano questa tradizione di quasi mezzo secolo. Ritrovarsi però al San Paolo, con migliaia di persone unite dalle stesse note e dalla stessa passione, è qualcosa da provare dal vivo.
Sentire le persone che hai più vicino intonare il ritornello “Oj’ vita, oj’ vita mia”, a squarciagola, sfogando il proprio amore viscerale per la squadra senza la minima cura dell’intonazione, e accorgersi che non si sa per quale misterioso inganno dell’udito, la canzone che rimbomba nello stadio sembra avere una sola voce, bellissima, calda, e potente. Cercare la propria voce e non sentirla, perchè sommersa, perchè s’è fusa in quella melodia insieme alla voce di tutti gli altri.
Sono emozioni che sembrano non avere una storia, come i sentimenti, e invece una storia ce l’hanno. Ci fu una persona, un giorno, ad una certa ora, che portò le note di ‘O Surdato ‘Nnammurato all’interno dello stadio. Ed evidentemente ebbe un’intuizione talmente felice che da cinquant’anni si continua a seguirne l’esempio.

Anche la canzone sembra non avere tempo. La si considera talmente tradizionale da dimenticare che ‘O Surdato ‘Nnnammurato è stata composta in un anno preciso, da un poeta e da un musicista che hanno messo insieme le loro forze creative, e prodotto quello che, a loro insaputa, un giorno sarebbe diventato l’inno del Napoli.
Tentiamo di scoprire di chi stiamo parlando. Chi sono i creatori della canzone, e chi per primo la portò all’interno di uno stadio di calcio. Cominciamo dalla questione più semplice, la prima. Chi scrisse la musica fu Enrico Cannio, pianista, direttore d’orchestra, compositore e arrangiatore di moltissime canzoni napoletane. Respirava Napoli dalla nascita, e si vede.
Chi invece scrisse il testo, che parla di un soldato al fronte che vagheggia il ritorno col suo amore, fu Aniello Califano. Poeta sorrentino di fine 800, nato in una famiglia agiatissima, amante della bella vita e delle belle donne, convinto viveur e appassionato rimatore, Aniello Califano sfornò nel 1915, in pieno annuncio di guerra, la canzone ‘O Surdato ‘Nnammurato.
Si racconta che l’editore Gennarelli, a cui fu proposto il testo di questa canzone, dopo averla letta non riuscì a trattenere le lacrime. Lui, uomo solitamente tutto d’un pezzo, incrollabile affarista intento al profitto e a null’altro, volle per quel testo un musicista che fosse napoletano verace, capace di dare la migliore traduzione sonora di quel testo: Enrico Cannio si rivelò scelta oculatissima.
Era il lontano 1915. La canzone, dopo i primi successi locali, venne un po’ dimenticata. A donarle nuova vita ci pensò Anna Magnani, che nel film “La Sciantosa”, esibendosi di fronte ad un pubblico di giovani soldati feriti, ne diede un’interpretazione struggente e malinconica. Ad accompagnarla con la chitarra, in quell’occasione, un giovanissimo Massimo Ranieri.
Lo stesso Ranieri, qualche anno più tardi, fornì una sua versione di ‘O Surdato ‘Nnammurato, che divenne ufficiosamente quella ufficiale. La tensione che Ranieri sapeva creare su quell ‘Oj, ancora densa della malinconia della strofa, ed il modo di scioglierla nella parola “Vita”, con cui esordiva il ritornello, finirono per rappresentare negli anni a venire il significato più profondo della canzone: la speranza.
E fu proprio la speranza a portare questa canzone nello stadio, il 7 dicembre del 1975. Il Napoli, secondo in classifica, affrontava la Lazio fuori casa. Fuori casa si fa per dire: affluirono a Roma 30000 napoletani. Un’emigrazione di massa. Prima in classifica, indovinate? La Juventus, ma con un solo punto in più del Napoli, impegnata in un difficile derby col Torino.
Il Napoli si porta subito in vantaggio, ma la Juventus resta sullo 0-0, ed in virtù di quel punticino non abbandona la testa della classifica. Quando però a 15 minuti dalla fine il Toro passa in vantaggio, e sul tabellone luminoso la scritta Torino 1 – Juventus 0 illumina gli sguardi dei 30000 all’Olimpico, il Napoli è primo in classifica, in solitaria.
Lo scudetto sfuggito l’anno prima per un pugno di punti, anche se si era ancora all’ottava giornata dell’andata, sembrava un sogno realizzabile. L’entusiasmo esplose a tal punto incontenibile, nel sentimento di una persona in particolare, che quella persona cominciò ad urlare a squarciagola il ritornello pieno di speranza di ‘O Surdato ‘Nnammurato: Oj’ vita, oj’ vita mia.
Quella persona non è mai stata identificata, ma la sua gioia cantata fu così contagiosa, che i suoi vicini cominciarono a cantare insieme a lui, e poi altri, e altri ancora li imitarono, finché 30000 napoletani a Roma fecero vibrare l’Olimpico con un inno a Napoli che finì per coinvolgere anche i tifosi avversari.
Così si esprimeva Vinicio, l’allenatore del Napoli, alla fine di quella giornata: “Come fai a dimenticare quella prima volta in cui un mare di napoletani trascinati dalla squadra, forse protagonisti della prima migrazione di massa, cantarono l’antico ritornello in uno stadio lontano da Napoli per far esplodere soddisfazione, gioia e orgoglio? Ero l’allenatore di quel Napoli e il ricordo è qui, nel mio cuore oltre che nella mia mente. Quella curva solitamente abitata dai tifosi della Roma e per una volta tutta azzurra, capace di un sussulto imponente.
Tornando negli spogliatoi, dopo esserci fermati a ringraziare i nostri tifosi emigranti, avevamo tutti gli occhi lucidi. E la sera, quando raccontai a mia moglie la gioia provata all’Olimpico, anche Flora per un istante cedette alla commozione. Quel coro non se l’aspettava nessuno di noi in campo, nacque certamente da un felice contagio. Mi piacerebbe a distanza di tanti anni stringere la mano a chi lo iniziò”.
Questo, invece, il titolo de Il Mattino, all’indomani della vittoria contro la Lazio e del capitombolo Juve contro il Torino che poi avrebbe vinto il suo ultimo campionato: CANTA NAPOLI!. Il sottotitolo faceva riferimento al “possente coro di trentamila voci napoletane“ che per la prima volta fece tremare uno stadio di calcio, prima ancora della moda dei concerti rock negli stadi.
E ci piace ricordare anche quella magica notte del 22 Novembre 2011, quando il Napoli affondò in Champions il Manchester City per 2-1, all’epoca di Mazzarri, quando c’erano ancora Lavezzi e Cavani. In quell’occasione i tifosi napoletani fecero conoscere al mondo intero la propria voce, con l’inno delle grandi occasioni. E la stampa estera, nonostante la sconfitta, ne rimase estasiata.
Queste le parole di Yayà Tourè, una delle bandiere del Manchester City. Forse uno dei più bei riconoscimenti mai espressi al tifo di Napoli: “Qualche partita importante nella mia carriera l’ho giocata, ma quando sentii quell’urlo fu la prima volta che mi tremarono le gambe! Bene, fu li che mi resi conto che questa non e’ solo una squadra per loro, questo e’ un amore viscerale, come quello che c’è tra una madre ed un figlio! Fu l’unica volta che dopo aver perso rimasi in campo per godermi lo spettacolo!”.
