La notizia dei risultati delle ultime analisi dell’autopsia di Giulia Tramontano rendono ancora più agghiacciante la morte della giovane di Sant’Antimo, in provincia di Napoli. La 29enne, uccisa dal compagno Alessandro Impagnatiello al settimo mese di gravidanza, non è morta per le 37 coltellate inferte. Nessuna di queste sarebbe risultata fatale per la giovane, deceduta per dissanguamento.
Quanto emerge è sconvolgente e purtroppo aggiunge una consapevolezza che la ragazza ha avuto di esser ammazzata dal fidanzato mentre in grembo portava il loro bambino. Ma purtroppo i particolari sconcertanti non finiscono qui. Impagnatiello era da mesi che provava a uccidere Giulia e il “feto”, aggiungendo alle sue bevande del topicida.
Alessandro Impagnatiello almeno da dicembre provava ad avvelenare la compagna incinta. Questo è quanto risulta dalla consulenza autoptica che, depositata mercoledì 30 agosto alla Procura di Milano, ha rivelato la presenza del veleno per topi sia nel feto che nel sangue della donna, con un “incremento” della somministrazione “nell’ultimo mese e mezzo”.
La relazione autoptica ha confermato la presenza del topicida, il “bromadiolone”, nel feto e nel sangue della donna. Già a dicembre, stando all’informativa degli investigatori, Impagnatiello cercava online il motivo per cui il veleno non stesse facendo effetto. Prova è anche, sempre a dicembre, di alcune chat di Giuliacon un’amica: “Mi sento una pezza, ho troppo bruciore di stomaco (…) lo stomaco mi uccide (…) mi sento drogata”. Non poteva sapere che il fidanzato stava provando ad uccidere lei e il bambino.