De gustibus non dipuntandum est! Eppure ci sono delle prelibatezze che bisognerebbe non toccare mai o almeno non farlo in pubblico e con certi attacchi. Il rischio di farla grossa diventa molto concreto.
“L’identità di un piatto non è bloccata ma è un processo dinamico, che si evolve nel tempo”. E’ questo che ha dichiarato in un’intervista al Financial Times da Alberto Grandi, storico dell’alimentazione. Il problema è che poi ha parlato in un determinato modo, non positivo, della pizza napoletana.
“Finché è rimasta a Napoli la pizza è stata una grandissima schifezza – ha infatti detto Grandi al Corriere della Sera senza mezzi termini – Ma quando è arrivata a New York si è riempita di prodotti nuovi e, in particolare, della salsa di pomodoro diventando la meraviglia che conosciamo oggi. Senza il viaggio degli italiani in America sono convinto che questa specialità sarebbe scomparsa”.
A rispondere alle parole di Grandi ci ha pensato Angelo Forgione che ha dichiarato: “Nel mio libro Il Re di Napoli, circa la storia del pomodoro, riporto tutte le documentazioni che attestano come la pizza con il pomodoro (e la mozzarella) nasca indubitabilmente a Napoli nella prima metà dell’Ottocento, quindi ben prima del trasferimento del pizzaiolo Gennaro Lombardi a New York nel 1905”, spiega Forgione. “È vero che la prima pizza dei napoletani, nel Seicento (così come le antiche preparazioni dei Greci e persino degli Egiziani) era bianca, poiché il pomodoro non era ancora abituale in alimentazione, e quello lungo ancora non era conosciuto in Europa – prosegue – Era ricca di strutto, formaggio di pecora, pepe e basilico […] Poi, con l’inizio della coltivazione del pomodoro a bacca lunga attorno al Vesuvio, a fine Settecento, il cibo di strada del popolo napoletano iniziò a colorarsi di rosso”.