Domenica 12 febbraio, secondo tempo di Inghilterra – Italia, torneo delle 6 Nazioni. È il 62esimo minuto, risultato sul 26 a 7 per gli inglesi. Il pubblico di Twickenham è felice: la propria squadra sta vincendo e riscattando il passo falso fatto contro la Scozia la settimana precedente. Ma gli azzurri sono in attacco e hanno ‘invaso’ l’area dei 22 metri avversari. Una grande progressione dell’ala Tommaso Menoncello ha portato i compagni nei 5 metri. L’area di meta è a un passo. C’è un raggruppamento, la palla è nelle mani del mediano di mischia azzurro. Quest’ultimo afferra l’ovale e fa un passo verso la linea già schierata dei tre quarti pronti ad affondare la difesa inglese. Invece il nostro numero 22 finta il passaggio, scorge un varco nel muro difensivo avversario e con un guizzo vincente schiaccia la palla in meta.
Da Napoli alla prima meta al 6 Nazioni contro l’Inghilterra
Così Alessandro Fusco, 23 anni napoletano, ha segnato la sua prima meta in un 6 Nazioni, la seconda con la maglia della nazionale. Peccato che alla fine l’Italia abbia perso, ma così come contro la Francia all’esordio e contro l’Irlanda lo scorso sabato allo stadio Olimpico, gli azzurri hanno disputato una grande partita restando in gara fino alla fine. Quando ho chiamato Alessandro per l’intervista, il giovane mediano di mischia (in forza alle Zebre, franchigia parmense che disputa il campionato celtico insieme a squadre irlandesi, scozzesi, gallesi e da qualche tempo anche sud africane), era proprio a Napoli: “Mi sto godendo qualche giorno di riposo in famiglia e con i miei amici di sempre“.
Poi sarà di nuovo rugby. In programma ci sono le ultime due sfide del torneo: quella casalinga contro il Galles (la prossima) e l’ultima in trasferta a Edimburgo contro la Scozia. Due partite che l’Italia può provare a vincere. Fino ad ora questo è stato un 6 Nazioni nel quale la nostra nazionale ha dimostrato di essere una squadra forte e determinata, capace di giocarsela con tutti.
L’intervista
Cosa hai provato quando ha realizzato quella meta nel ‘tempio’ di Twickenham, la tua prima in un 6 Nazioni?
“Innanzitutto per me resterà indelebile il ricordo della mia prima meta in maglia azzurra: quella segnata al Portogallo. Ma segnarla al 6 Nazioni, a Twickenham in casa dell’Inghilterra, è stato come un sogno che si è realizzato. Si tratta di emozioni difficili da capire e spiegare. Quando ho schiacciato la palla sul campo neanche avevo realizzato di aver segnato la meta. Sensazioni indescrivibili, poi allo stadio c’erano mio padre e alcuni amici di Napoli e questo mi ha reso ancora più felice. Devo riconoscere però che la marcatura è giunta al termine di una bellissima azione giocata dai miei compagni. Sono stato bravo a trovare quel guizzo vincente che ha concretizzato il lavoro di tutti“.
Cosa conserveresti e cosa miglioreresti di ciò che avete fatto in campo fino ad ora?
“Ad oggi conserverei tutto. Abbiamo costruito una precisa identità di gioco che cerchiamo di affermare in ogni partita. Dobbiamo continuare a portarla avanti. Ovviamente ci sono da migliorare tanti piccoli aspetti. Quei dettagli che possono fare la differenza. Errori da evitare e che a questo livello ti puniscono perché spesso sono decisivi. Ad esempio, essere più rapidi nei passaggi, più fluidi nel gioco: un secondo in più o uno in meno possono cambiare le sorti di un’azione. In ogni caso, noi scendiamo in campo sempre per vincere. Del resto contro l’Irlanda, al momento la squadra più forte del mondo, siamo stati sempre in partita“.
L’Italia è una squadra che cerca sempre il gioco, che placca e corre fino all’ultimo minuto. In campo date l’impressione di essere un gruppo molto unito.
“È il risultato di un lavoro iniziato tempo fa e che sta dando i suoi frutti. Il nostro obiettivo è cercare di imporre il nostro gioco agli avversari. Di non essere passivi nei loro confronti. Siamo una squadra unita e determinata. Un gruppo meraviglioso. Fuori dal campo siamo amici oltre che compagni. C’è unità in allenamento ma anche quando usciamo a bere una birra. Ci rispettiamo e ci divertiamo perché ognuno si sacrifica per l’altro. Crediamo in noi stessi, nel compagno e nel gruppo“.
Nel tuo stesso ruolo hai affrontato quello che al momento è considerato il miglior mediano di mischia al mondo: Antoine Dupont (numero 9 della Francia, ndr). Come è stato giocare contro di lui?
“È sempre emozionante incontrare e misurarti con giocatori di alto livello. Ma in campo non ci pensi. Quando gioco penso a quello che devo fare, a come muovermi insieme ai miei compagni. L’altro è il mio avversario. Mi alleno affinché possa essere più bravo di lui in partita. Mi preparo ad affrontarlo. Contro Dupont ho giocato poco ma è stata entusiasmante la sfida di sabato contro Murray (mediano di mischia irlandese, ndr). Lui è un mediano fisicamente atipico come me, è alto più di un metro e ottanta, quindi ha una predisposizione al movimento differente dagli altri. Di sicuro è per me un giocatore di riferimento. Uno dei più forti in questo ruolo. A fine partita abbiamo scambiato le magliette ed è stato davvero piacevole chiacchierare con lui. Anche così si cresce e si migliora, confrontandoti con gli altri“.
Fino ad ora sei entrato in campo a match in corso facendoti trovare sempre pronto: come ci si prepara psicologicamente a questo?
“Non è facile entrare in campo ed essere subito in partita. Può capitare che hai troppa voglia di fare e quindi sei poco lucido rispetto alle decisioni da prendere. Oppure rischi di entrare in campo poco concentrato e questo ti impedisce di interpretare bene il tuo ruolo. Bisogna essere sempre focalizzati sulla partita, di ‘giocarla’ anche se sei in panchina. Bisogna far sapere ai tuoi compagni che tu ci sei e che sei pronto a giocare. Mi rendo conto di dover essere sempre a disposizione dell’allenatore e della squadra“.
Hai iniziato a Napoli, poi c’è stato il tempo delle accademie. Il passaggio alle Fiamme Oro e infine le Zebre: qual è oggi il rapporto tra il rugby e la sua frammentazione territoriale?
“Quando sono a Napoli vado sempre a Bagnoli a vedere i miei ex compagni allenarsi e giocare. La sento sempre come casa mia. Tuttavia la mia esperienza che mi ha portato a giocare in realtà completamente diverse tra loro, mi ha fatto anche capire l’enorme divario che c’è tra Nord e Sud. Una differenza soprattutto culturale, nell’intendere un certo tipo di sport, ma soprattutto strutturale ed economica. Nel Mezzogiorno alcune realtà fanno fatica perché non hanno risorse sufficienti per andare avanti o strutture dove poter organizzare le proprie attività. Un gap ancora oggi troppo evidente. Bisognerebbe partire dalle basi, dalle scuole. Bisognerebbe far capire ai ragazzi e alle famiglie che tipo di sport è il rugby. Bisognerebbe investire nei giovani ma anche nel dare appeal a una realtà viva ma invisibile. Purtroppo al Sud ci sono meno probabilità che un ragazzo possa emergere o che le sue qualità siano notate“.
Porti un cognome ‘pesante’ che ha scritto la storia del rugby napoletano e italiano. Il tuo presente è entusiasmante. Ma cosa c’è nel futuro di Alessandro Fusco?
“Sono ovviamente orgoglioso. Negli ultimi anni ho iniziato a scrivere il mio futuro. Non solo da un punto di vista sportivo. Ora nella mia testa c’è questo 6 Nazioni che insieme ai miei compagni voglio giocare al meglio delle mie possibilità. Poi voglio continuare a dare il massimo per il club, le Zebre, realtà nella quale mi trovo benissimo. E all’orizzonte, a settembre, ci sono i mondiali. Nel frattempo sto completando gli studi, voglio laurearmi“.
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