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Crollo della funivia, la svolta dopo la strage: scattano gli arresti. “L’hanno ammesso, erano consapevoli del guasto”

Da testimoni a fermati. Sono tre le persone della società che gestisce l’impianto della funivia del Mottarone – tra loro il proprietario Luigi Nerini – fermati dalla procura di Verbania che indaga per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose in relazione all’incidente di domenica scorsa in cui hanno perso la vita 14 persone e un bambino è rimasto ferito. Contro i tre fermati c’è un quadro “fortemente indiziario”, afferma il procuratore capo di Verbania, a capo dell’inchiesta sulla tragedia, che ha disposto il carcere per il gestore dell’impianto della funivia del Mottarone, un ingegnere e un capo del servizio dell’impianto “persone che avevano un ruolo giuridico ed economico, cioè prendevano decisioni”.

Nel pomeriggio di ieri i carabinieri di Stresa hanno ascoltato sei dipendenti della società e per un paio di loro la posizione si è inaspettatamente aggravata, tanto da far scattare in serata le prime iscrizioni nel registro degli indagati e quindi, a sorpresa, le manette. Sono passati pochi minuti dopo l’1 quando l’avvocato Pasquale Pantano, difensore dell’imprenditore 56enne di Baveno, varca il cancello della caserma e intorno alle 3 arriva la conferma del finale inaspettato: due dipendenti e Nerini sono destinatari della misura di custodia firmata dal procuratore capo di Verbania.

L’accelerazione nell’indagine arriva a 48 ore circa dal disastro ed è legata alle sicurezze crescenti degli investigatori sulle cause del disastro: se saranno dei periti a spiegare perché il cavo trainante si è spezzato, a un occhio esperto non sfugge che c’è un errore umano legato al cosiddetto ‘forchettone’, un componente in metallo che serve a tenere aperte le ganasce dei freni e va tolto quando la cabina è in funzione perché altrimenti impedisce la frenata in caso di emergenza.

Una presenza che spiega perché la cabinovia è precipitata nel vuoto per circa 20 metri, ma non perché la fune trainante si è spezzata. La manutenzione dell’impianto, ossia “i controlli giornalieri e settimanali previsti dal regolamento e dal manuale d’uso” dell’impianto spetta alle ‘Ferrovie del Mottarone’, società di proprietà di Nerini, e i tecnici che lavorano per garantire la sicurezza sono i primi a finire nel mirino degli inquirenti dopo l’incidente. I fermi cozzano, però, con l’intenzione del procuratore di procedere con cautela nelle iscrizioni degli indagati e che potrebbe essere legata a una responsabilità che andrebbe oltre l’errore umano.

Le tre persone fermate devono rispondere di “rimozione od omissione dolosa di cautele” previsto dell’articolo 437 del codice penale che punisce chi “omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia”. Ipotesi aggravata “se dal fatto deriva un disastro” spiega il procuratore di Verbania.

I tre fermati erano consapevoli da settimane del guasto al sistema frenante di sicurezza, afferma ancora il procuratore capo. Con il gestore dell’impianto della funivia del Mottarone, un ingegnere e un capo del servizio attualmente in stato di fermo c’è stato un “confronto di carattere tecnico. Si sono ‘giustificati’” rispetto alle consapevoli anomali del sistema frenante dell’impianto “per superare le difficoltà economiche ed evitare che si fermasse a lungo”. Così si è preferito “disinnescare” sulla cabina precipitata il sistema frenante di sicurezza, dice il procuratore Bossi.

“Abbiamo potuto accertare dai reperti analizzati in questi due giorni e in particolare dall’analisi dei reperti fotografici che la cabina precipitata presentava il sistema di emergenza dei freni manomesso, cioè non era stato rimosso o meglio era stato apposto il forchettone che tiene distante le ganasce dei freni che dovrebbe dovuto bloccare il cavo in caso di rottura del cavo” afferma ancora il procuratore di Verbania.

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L’esigenza di questa ‘toppa provvisoria’ nasce dall’esigenza di non bloccare a lungo l’impianto che presentava “delle anomalie”, così sulla cabina “non è stato disposto questo dispositivo (il forchettone, ndr) e quando il cavo si è spezzato la cabina è precipitata”.

Uno sviluppo investigativo “molto inquietante”: con la “convinzione che mai si sarebbe tranciato il cavo si è corso il rischio” più volte e di una tragedia sebbene le anomalie del sistema fossero state “segnalate più volte”. Tra gli ultimi interventi c’è sicuramente quello del 3 maggio scorso, ma almeno un’altra richiesta di intervento sarebbe stata ignorata, insomma la cabina sarebbe stata a rischio per più giorni o settimane.

Contro i tre fermati c’è un quadro “fortemente indiziario”, afferma ancora il procuratore capo di Verbania, a capo dell’inchiesta sulla tragedia che ha disposto il carcere per il gestore dell’impianto della funivia del Mottarone, un ingegnere e un capo del servizio dell’impianto “persone che avevano un ruolo giuridico ed economico, cioè prendevano decisioni”.

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Un comportamento “consapevole e sconcertante” perché i tre fermati avrebbero avuto consapevolezza del malfunzionamento dell’impianto frenante e per “evitare continui disservizi e blocchi” hanno preferito per settimane continuare a mettere a rischio i passeggeri, coscienti che l’”anomalia necessitava di un intervento più radicale, di un blocco più consistente” dell’impianto, aggiunge il procuratore di Verbania.

Così per ovviare allo stop che avrebbe comportato la perdita di soldi i tre avrebbero deciso di “manomettere il sistema di sicurezza”, cioè di apporre il forchettone per ovviare al problema al sistema frenante. Forchettone che, una volta che si è tranciato il cavo trainante della funivia, ha impedito alla cabinovia di restare sospesa e l’ha lasciata precipitare nel vuoto per circa 20 metri.