Barbara Ciarcia, irpina di Venticano, ha dato alle stampe da poche settimane il suo “Irpinia, alle radici di un viaggio” (Delta3 Edizioni), un viaggio in diciotto tappe attraverso un territorio che lei conosce alla perfezione.
Un viaggio con l’obiettivo (raggiunto) di distinguersi dalla narrazione imperante e da quei toni disfattistici e di resa che sembrano essere l’unica peculiarità della provincia avellinese. Barbara stessa è un concreto esempio di attaccamento alla propria terra.
Difatti, pur avendo studiato per indossare la classica feluca diplomatica, e girare così il mondo, ha scelto alla fine di rimanere in Irpinia, a fare la giornalista per ‘Il Mattino’ e la docente. Il mondo lo ha conosciuto nei suoi lunghi viaggi all’estero (LatinoAmerica e Africa), ma il richiamo della terra d’origine ha avuto il sopravvento.
Alla passione per la politica estera ha abbinato quella per il territorio. È stata la prima donna presidente di un civico consesso in Irpinia. Giovanissima è entrata nei ranghi dell’amministrazione comunale di Venticano. E ancor più giovane – aveva soltanto quindici anni – ha iniziato a scrivere per un giornale locale. Da allora non ha più smesso. Dopo la laurea in Scienze Politiche alla ‘Federico II’ di Napoli (è stata l’ultima allieva dello storico socialista Gaetano Arfè) e una serie infinita di concorsi nella pubblica amministrazione ha superato, al primo colpo, l’esame da giornalista professionista senza mai tralasciare altri interessi vitali: la musica, l’atletica, le buone letture.
Al centro della sua vita, però, c’è il giornalismo. Il fiuto per le notizie, la scrittura che arriva dritta al cuore dei lettori, l’attenzione costante per le annose problematiche del territorio. Una passione così grande da aver rinunciato alle vacanze per curare un’altra imminente pubblicazione.
‘Irpinia, alle radici di un viaggio’, edito da Delta3, arriva da lontano e non arriva per caso, essendo il risultato di un viaggio in diciotto tappe – ciascuna in un borgo della provincia – pubblicato sulle storiche colonne del quotidiano partenopeo.
Barbara, partiamo dall’inizio. Perché questo libro?
“Perché l’Irpinia merita rispetto e più attenzione, e soprattutto una chiave di lettura diversa, votata all’ottimismo, al riscatto. Non mi piace affatto l’immagine stereotipata di un Sud che si piange addosso, dove non funziona nulla, dove i borghi si svuotano perché non c’è niente. In realtà, non è proprio così o almeno non sempre è così. Facendo la cronista da tanti, troppi anni, e conoscendo abbastanza il territorio e i suoi maggiori attori, ho maturato un’idea diversa delle nostre comunità: ci sono amministratori appassionati e coriacei, giovani qualificati che si adoperano per il sociale. Insomma, mi piace raccontare un’Irpinia inedita, silenziosa e operosa”.
È un viaggio al centro di un fenomeno epocale, quello dello spopolamento dei borghi interni?
“Sì, ma è pure un viaggio introspettivo per comprendere cosa è successo in questi ultimi anni, cosa, appunto, non ha funzionato sul territorio. È facile poi scaricare le colpe sempre e solo sulla classe politica quando le responsabilità per uno sviluppo mai pienamente compiuto sono trasversali. Credo, alla luce dell’esperienza maturata, che il futuro sia nei borghi abbandonati. Ci sarà un ritorno, come il nostos greco, nelle piccole comunità perché sono comunità a misura d’uomo dove la pratica della legalità e della solidarietà è un valore aggiunto”.
Il racconto, in questo caso, è una necessità, una forma di conoscenza?
“Diciamo una forma di conoscenza, ma pure una sperimentazione linguistica per chi come me ad oggi si è cimentata solo con la cronaca. A me interessa divulgare a una platea di lettori più ampia e variegata un’immagine fresca e positiva del nostro territorio fuori dai luoghi comuni e dai soliti, corroborati clichè”.



