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La camorra che uccide i bambini. Simonetta Lamberti: “Non c’è giustizia che possa restituirmi mia sorella”

Dopo il servizio de Le Iene la figlia del giudice Lamberti racconta a Voce di Napoli la sua vita con il peso di una tragedia

“Il servizio andato ieri sera in onda a Le Iene lo considero come il primo regalo di Natale che ho fatto mia sorella“. Parla così oggi Simonetta Lamberti, fglia del giudice Alfonso e sorella della piccola Simonetta, rimasta uccisa nell’agguato del maggio 1982 per mano della camorra. Simonetta era una bambina. Il 29 maggio 1982, il magistrato era con lei a da Cava de’ Tirreni, dove abitava per passare alcune ore in spiaggia. Sulla via del ritorno Simonetta si assopì con la testa contro il finestrino. A poche centinaia di metri dall’ingresso in Cava de’ Tirreni l’auto fu affiancata da un’altra vettura. Un colpo di pistola dopo l’altro. Alfonso Lamberti rimase ferito, Simonetta fu raggiunta alla testa. Morì sul colpo.

“Non ho mai conosciuto mia sorella perché sono nata dopo la tragedia che ha devastato la mia famiglia. Dalla nascita porto il peso del suo nome. E’ una vicenda che mi ha segnata profondamente” ci dice con l’inconfondibile velo di dolore che si percepisce parlando con persone a cui la vita è stata brutalmente strappata via. “Alcune volte mi dicono ‘ma cosa ti importa? Tu nemmeno c’eri!‘, non so come si possa pensare una cosa del genere”.

Il servizio de Le Iene ha permesso al grande pubblico di conoscere la storia di Simonetta ricordata come la prima bambina a morire per mano della camorra. L’inchiesta sull’omicidio è stata riaperta nel 2011, sulla base delle rivelazioni del pregiudicato Antonio Pignataro, reo confesso ed ex esponente di spicco della Nuova Camorra Organizzata. Pignataro ha sempre sostenuto di aver partecipato all’ideazione dell’attentato ma di non essere l’esecutore materiale. Il 5 novembre scorso il boss di Nocera Inferiore grazie ad un cavillo giuridico, nonostante una condanna a 30 anni, è stato scarcerato e sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di dimora.

“Quando ho saputo che Pignataro era libero sono morta. Per quattro giorni non ho fatto che piangere. Poi mi sono rialzata, non so dove ho trovato la forza, ma ho deciso che dovevo continuare a combattere” spiega ancora.

“Ho sperato tanto che il servizio andasse in onda. L’ho visto ieri in tv e l’ho rivisto altre volte anche oggi. Devo dire che in quel momento mi sentivo di una fragilità estrema, mentre ero sotto casa di Pignataro e piangevo, tremavo come una foglia. Stavo malissimo. Riguardandomi, però, ho avuto una sensazione diversa: ero io quella forte e lui, un camorrista, sembrava un uomo piccolo piccolo. Ha avuto paura. Il servizio è stato breve ma abbiamo passato tantissimo tempo fuori la porta di casa sperando di poter parlare. Non ha voluto. Poi è improvvisamente spuntato fuori l’avvocato e anche in quel caso, come avete tutti visto dal servizio, Pignataro ci ha negato un colloquio. Io voglio solo la verità, non sono una persona che usa la violenza. La violenza non si combatte con altra violenza” spiega Simonetta dimostrando una forza incredibile.

Simonetta vuole verità e giusitizia, ma sa benissimo che nessuna giustizia potrà riportarle indietro la sorella che non ha mai conosciuto. “Nella mia vita sono stata vicina alla morte da quando sono venuta al mondo. Conosco il dolore, la sofferenza. Vivo dei ricordi che gli altri hanno di mia sorella. In casa non si è mai potuto parlare e non ne faccio una colpa dei miei genitori perché il dolore è troppo grande. Così quando incontro qualcuno che l’ha conosciuta mi faccio raccontare aneddoti che la riguardano per farne ricordi personali. Ho i suoi quaderni, tutti quegli oggetti che possono tenermi accanto a lei”.

Il dolore di Simonetta si acuisce nel momento in cui pensa che non conosce la voce di sua sorella, il suo profumo, il calore di un suo abbraccio. “Nessuno potrà mai dirmi come sarebbe stata la mia vita se avessi avuto una sorella”.

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