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31 anni fa moriva Enzo Tortora, vittima della camorra e della mala giustizia

Lo storico conduttore, voce e volto della nota trasmissione "Portobello", fu implicato per errore in una vicenda giudiziaria. Alla fine fu assolto

Io sono innocente, spero dal profondo del mio cuore che lo siate anche voi“, una frase scolpita nelle memorie del Paese e simbolo della lotta alla mala giustizia italiana. Parole pesanti come macigni che Enzo Tortora urlò ai giudici che lo condannarono costringendolo alla galera.

Una vicenda che rovinò la carriera del famoso conduttore, uno dei volti più importanti della televisione e una delle voci più profonde della radio nostrana. Una storia che ne pregiudicò anche le condizioni di salute, fino alla sua scomparsa avvenuta a Milano il 18 maggio 1988.

Tortora era nato a Genova, altra città di mare. Ma non è stato soltanto quest’ultimo aspetto ad aver accumunato la sua vita a Napoli. Purtroppo il legame tra il capoluogo campano e il conduttore è relativo ad una vicenda giudiziaria che ha scritto una delle pagine più nere della giustizia italiana.

Tortora fu arrestato il 17 giugno 1983. L’accusa, dei procuratori Francesco Cedrangolo e Diego Marmo e del giudice istruttore Giorgio Fontana, era di associazione camorristica e traffico di droga. L’architrave accusatorio della Procura era del tutto basato sulle dichiarazioni di tre pentiti della camorra: Giovanni Pandico, Giovanni Melluso, alias ‘Gianni il bello e Pasquale Barra detto ‘o animale, killer fidato di Raffaele Cutolo.

Il conduttore di Portobello vide piombare in casa sua, alle quattro del mattino, i carabinieri di Roma che autorizzati da un mandato rovistarono in casa sua prima di portarlo con loro in caserma. Adesso immaginate per un solo momento cosa voglia dire una scena del genere: voi state dormendo tranquilli nel vostro letto, quando nel cuore della notte si presentano le forze dell’ordine che su mandato dell’autorità giudiziaria mettono a soqquadro casa vostra prima di ammanettarvi i polsi. Episodi quasi da regimi sud americani.

E invece siamo in Italia. A causa di tutto ciò Tortora fu costretto a subire un periodo detentivo in carcere di 7 mesi. 210 giorni in prigione fino al gennaio del 1984 quando il conduttore fu liberato. Il 17 settembre 1985 dai tribunali arrivò l’ennesima pugnalata: Tortora fu condannato a 10 anni di reclusione su richiesta dei pubblici ministeri Lucio Di Pietro e Felice di Persiala. Infine, la svolta: il 15 settembre 1986 il conduttore fu dichiarato innocente e assolto dai giudici della Corte d’Appello di Napoli.

Nel frattempo Tortora fu eletto eurodeputato nelle liste del Partito Radicale ma si dimise rinunciando all’immunità per farsi processare e dimostrare la sua innocenza. Tortora è stato prigioniero dello Stato. Si ammalò e dovette rinunciare al suo lavoro. La reputazione del conduttore fu distrutta con le sue foto pubblicate sulle prime pagine dei giornali. Per l’opinione pubblica Tortora era colpevole. Non era importante il fatto che il processo era in corso e che per la Costituzione ogni cittadino è innocente fino a prova contraria e fino al terzo grado di giudizio.

Nonostante tutto Tortora dovette subire tre anni di calvario e con lui i suoi familiari e i suoi amici. Invece, i suoi “carnefici con la toga” hanno fatto carriera arrivando sino alla pensione e scusandosi per l’accaduto soltanto 30 anni dopo. L’unico supporto politico per il conduttore arrivò appunto dal Partito Radicale e dal suo storico e compianto leader Marco Pannella. Quest’ultimo e i radicali si sono sempre battuti per una giustizia giusta e si schierarono al fianco di Tortora. In questo modo la sua sofferenza divenne l’occasione per scuotere l’Italia.

Tortora insieme a Pannella ci ha donato la possibilità di riflettere sulle gravi inefficienze proprie del nostro sistema giudiziario. Ma dal referendum radicale del 1987, dove i cittadini italiani votarono a favore della responsabilità civile dei magistrati (poi boicottato dal governo di allora), fino all’attuale sovraffollamento delle carceri e all’imperante giustizialismo portato avanti dalle attuali forze del mondo politico e mediatico, sono cambiate poche cose.

Esistono ancora molti magistrati che commettono errori distruggendo vite restando impuniti. Esistono ancora tanti innocenti dietro le sbarre. Esistono ancora politici che utilizzano la magistratura come strumento di lotta politica. Esistono ancora molti magistrati che esercitano il loro potere per fini politici e carrieristici. Esistono ancora tanti giornalisti che non esitano a spiattellare nei loro servizi o sulle loro prime pagine volti e nomi di persone dando per scontata la loro colpevolezza. Ci sono pochi (e sono sempre radicali) politici a lottare affinché le cose possano cambiare.

Era il 1987, Tortora fece il suo ritorno in tv accolto da un pubblico che si alzò in piedi per applaudirlo. Il volto segnato dalla stanchezza e dalla commozione del momento. Ma la capacità di continuare a trasmettere forze e dignità. Il conduttore pronuncio parole bellissime, autoproclamandosi difensore di coloro che avevano subito gli stessi torti ma sprovvisti dei mezzi necessari per difendersi.

Dunque, dove eravamo rimasti“, esordì Tortora. Purtroppo, caro Enzo, da dove ci eravamo lasciati. Ma come affermava Pannella bisogna essere speranza invece dell’avere speranza. Quindi, a tutti i Tortora di questo mondo diciamo spes contra spem.

31 anni fa moriva Enzo Tortora, storico conduttore vittima della camorra e della mala giustizia