Oggi ricorre il decimo anniversario del tremendo sisma che la notte del 6 aprile 2009 alle 3.32 scosse l’Abruzzo, lasciandosi dietro 309 vittime, migliaia di feriti e distruzione in vaste aree, soprattutto a L’Aquila e la sua provincia. La risposta degli italiani, come sempre in questi casi, non si fece attendere. Migliaia di soccorritori, di professione e volontari, organizzati del Sistema Nazionale di Protezione Civile, furono immediatamente pronti a partire.
Le associazioni di volontariato di Protezione Civile, le sezioni della Croce Rossa, e molte altre strutture operanti in qualsiasi ambito del volontariato, furono prese d’assalto per molti giorni successivi al sisma da decine e decine di comuni cittadini che volevano dare una mano, aiutare la popolazione così duramente colpita. Luca Esposito e Marco Tomas sono i due caposquadra del Centro Operativo di Protezione Civile “Falchi del Sud” di Napoli che partirono lo stesso 6 aprile con una squadra di volontari, unendosi ai mezzi e agli uomini del Settore Protezione Civile della Regione Campania ed alle altre associazioni di Protezione Civile della nostra regione, per allestire un campo d’accoglienza a Poggio Picenze, una cittadina a 13 km a sud est del capoluogo abruzzese. Ci hanno raccontato quelle prime ore e quei primi giorni.
Marco Tomas: “Venni a conoscenza del sisma praticamente in diretta, perché la scossa fu avvertita anche a Napoli e qualche ora dopo iniziarono ad arrivare le immagini dei danni di L’Aquila e di Onna. Fu in quel momento che ho capito che la colonna mobile della Protezione Civile della Regione Campania sarebbe dovuta partire quanto prima” [in ambito di Protezione Civile, si intende per colonna mobile l’insieme degli automezzi che spostano uomini e materiali, afferenti ad una singola Regione, verso uno scenario di emergenza, ndr].
Luca Esposito: “Anch’io capii subito che la situazione era molto grave e mi fu chiaro che, data la vicinanza tra la regione Campania e l’Abruzzo, la nostra colonna mobile sarebbe stata tra le prime a partire. Arrivammo a Poggio Picenze la notte fra il 6 e il 7 e avvertimmo subito le prime scosse che ci fecero capire ancor di più quanto grave fosse la situazione. Ero già stato in Molise, per gli eventi sismici della fine del 2002, ma gli scenari erano completamente diversi. I danni in Abruzzo erano molto elevati, oltre le mie previsioni e ad ogni scossa, si sentivano rumori di altri crolli. Iniziammo ad allestire il campo di accoglienza solo la mattina dopo perché il campo sportivo del paese era completamente coperto di fango a causa delle piogge dei giorni precedenti. I primi giorni furono dedicati all’allestimento dell’area ed al censimento degli sfollati”.
M.T.: “Neanche io ero mai stato in un’emergenza che aveva provocato tanti danni e causato un numero così elevato di vittime. Non sapevamo come ci avrebbero impiegato e cosa avremmo trovato. Ricordo che eravamo solo pronti ad aiutare in ogni modo le persone di quei territori. Partimmo il pomeriggio, subito dopo aver caricato i camion con tutte le attrezzature a disposizione. Arrivammo sul posto in tarda serata e ci coordinammo con le autorità locali per sapere dove installare il campo di accoglienza della Regione Campania: ci fu quindi assegnato il Comune di Poggio Picenze. Oramai era buio e non si vedeva nulla, ma la cosa che mi colpì di più erano le centinaia di auto, parcheggiate una accanto all’altra, che erano diventate l’alloggio di fortuna di altrettante famiglie. Quella notte anche noi dormimmo nei nostri automezzi e la mattina dopo, all’alba iniziammo ad allestire il campo di accoglienza nel campo sportivo comunale: iniziammo a montare le tende per garantire un primo alloggio a chi era rimasto senza casa, il tendone mensa dove consumare i pasti, la cucina e la segreteria del campo. Nei giorni seguenti, una volta ultimate queste prime strutture, insieme ai vigili del fuoco furono organizzate delle squadre per andare a recuperare beni di prima necessità che le persone, scappando, avevano lasciato nelle loro case; intanto, cercavamo di organizzare le famiglie nelle tende in modo da tenere vicini nuclei familiari, parenti o vicini di casa. Giorno dopo giorno il campo si allargava e veniva dotato di nuovi servizi: fu allestita una chiesa, arrivarono ulteriori moduli per garantire più servizi igienici, furono allestite altre tende comuni, come la scuola per i più piccoli ed infine è arrivato anche il modulo dell’ufficio postale“.
L.E.: “Ovviamente, le cose non erano facili. La gestione del campo fu all’inizio molto complicata: più di 500 persone, ancora scioccate da quanto successo e, comprensibilmente, con il loro carico di rabbia, paura, e dolore, costrette al freddo, alla coesistenza in spazi strettissimi con sconosciuti, con tende attaccate l’una a l’altra, bagni e mensa comuni, e pochissima privacy. Dovevamo riuscire ad intercettare le situazioni che avrebbero potuto causare loro ulteriori tensioni ed agire tempestivamente per andare incontro a tante esigenze diverse: la disposizione delle famiglie nelle varie zone del campo, ad esempio, era in continuo cambiamento, così come l’organizzazione sia dal punto di vista alimentare che per quanto concerne le zone per il culto, essendoci anche una comunità musulmana. Questo però ci tenne subito a stretto contatto con le persone, che imparammo a conoscere e che a loro volta iniziarono a collaborare attivamente con noi, nonostante tutto. Il mio ricordo più bello di quei giorni fu proprio questo: la forza e la gratitudine che la popolazione locale dimostrò dal primo all’ultimo istante”.
M.T.: “E’ vero. Emergevano sempre nuove esigenze e si tentava in tutti i modi di venire incontro alle richieste di chi aveva perso tutto ed era costretto a vivere in una tenda. Era la settimana di Pasqua, ma per me, e credo anche per gli altri volontari, non era un peso stare lontano dalle nostre case: può sembrare retorico, ma stavamo aiutando persone che, proprio a Pasqua, in quei giorni di festa, avevano perso tutto. Era la cosa giusta da fare”.
La Regione Campania ha gestito il campo di Poggio Picenze, ed altri due campi più piccoli, per oltre cinque mesi. Questo fu possibile solo grazie a centinaia di volontari, provenienti da decine di associazioni di volontariato di Protezione Civile di tutta la regione, che si alternarono dal quel 6 aprile, con l’unico scopo di garantire il supporto necessario alla popolazione abruzzese così duramente colpita.