Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
C’eravamo tanto amati, come in un film di Ettore Scola. Dopo esserci scoperti per caso, a dirla tutta. Era un caldo pomeriggio di Luglio. Gonzalo ritornava con le ossa rotte dall’ennesima delusione per una Coppa America sfuggita ancora una volta dalle mani ed un rigore decisivo tirato alle stelle. Maurizio, invece, era già a Castel Volturno a masticare Merit in tuta. “¿Quién es?”, avrebbe sbottato l’argentino. “Resta qui, Gonzalo. Ci divertiamo”. Promessa mantenuta.
Saranno trentasei i gol di Higuain a fine anno. Trentasei, in trentacinque partite. Ha fatto più gol lui, da solo, che sei squadre di serie A. Capocannoniere per distacco e record battuto per gol segnati in un singolo campionato italiano. Una di quelle annate che restano indelebili nei libri di storia. Destinate ad essere romanzate e custodite. Di nonno in nipote, e giù di lì. Trentasei gol, racchiusi in tanti piccoli momenti. Su tutti, l’indimenticabile pomeriggio di Bergamo. La partita dell’abbraccio. Dell’incornata vincente di testa e della corsa in panchina a ringraziare Maurizio. Un’istantanea rimasta a lungo nei cuori dei tifosi del Napoli. Un gesto poco comune. Per dimostrare quanto fosse forte quel legame, quanto il Pipita fosse al centro del progetto. Felice di esserci. Poi, le doppiette. Nove. Più la tripletta finale al Frosinone. Quella del record di Nordahl. Eguagliato e poi stracciato. In grande stile, manco a dirlo. Una rovesciata leggendaria. Sotto al diluvio e a quella curva che l’ha tanto amato. Era la rovesciata del 36. Della serie A ai piedi del fenomeno Higuain.
Numeri che sconvolgono ancora. Segni. Indelebili. Poi, la ferita. Il tradimento. Ai danni del Napoli, della sua gente. Ai danni di Maurizio Sarri. Quel padre calcistico che in una sola annata era riuscito a metterlo in condizione di divorare ogni record. Arriva la Juventus, con un assegno in bianco. Novantaquattro milioni di euro, la clausola rescissoria. L’odiata Juventus. A Fuorigrotta c’è chi non ci crede, ma è tutto vero. Gonzalo prende il primo volo per Torino, tra lo stupore e l’incredulità generale. Senza fare rumore, in punta di piedi. Il fratello dell’argentino twitta frasi al veleno contro il presidente De Laurentiis, Sarri sceglie il silenzio. Poi, il perdono. Abbracciando quel “figlio che lo ha fatto incazzare” qualche mese dopo, nella prima uscita da ex di Gonzalo con la nuova maglia bianconera. Il secondo abbraccio, quello più amaro.
A Napoli, si sa, la ferita è ancora aperta. Ed i rimpianti, forse, ancora troppi. Perché, da queste parti, calcio e cuore viaggiano sugli stessi binari. Perché nei due anni successivi, senza il Pipita, i ragazzi di Sarri realizzano uno dei più grandi capolavori sportivi di sempre. Record di punti, e scudetto sfiorato. Lo stesso scudetto che, per chissà quale strano gioco del destino, deciderà proprio il Pipita nella rocambolesca notte di San Siro tra le polemiche generali. Ma i due anni alla Juve dell’argentino, nonostante i trofei, non saranno ricordati col sorriso. Lo scorso Luglio, infatti, a Torino rilanciano ancora. Arriva Ronaldo. Cristiano Ronaldo. L’attaccante più forte del calcio moderno. E il Pipita, da uomo copertina, si ritrova scaricato al Milan. Sei mesi, poco meno. Senza mai lasciare il segno.
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Gonzalo Higuain e Maurizio Sarri. Di nuovo. All’improvviso. Proprio quando sembrava che quelle strade oramai non si sarebbero più incontrate e che il terzo abbraccio non ci sarebbe stato. Una storia di sport, d’amore, di vita quotidiana. Di gratitudine, delusione e poi perdono. Una di quelle storie che solo il calcio sa raccontare.
Da Napoli a Londra. Dall’azzurro al blue. All’ombra del Vesuvio, il Comandante non è mai stato dimenticato. E, nonostante tutto, lo stesso vale per Higuain. Chi in un modo e chi in un altro. Chi per un motivo e chi per un altro. Vestiranno la stessa casacca. Lotteranno per gli stessi colori. E le gioie dell’uno saranno le gioie dell’altro.
Maurizio Sarri lo ha perdonato. Napoli no. O, almeno, non ancora.
Odio ed amo. Forse ti chiedi come faccia.
Non lo so, ma sento che accade e mi tormento.
Catullo
Marco D’Arienzo