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Dipendente Eav “malato” scende in campo in Prima Categoria: licenziato, reintegrato e rimborsato

Dice di essere malato perché afflitto da cefalea ma viene sorpreso in giro per supermercati o in compagnia di amici o addirittura in campo per una partita del campionato di Prima Categoria dove indossa la maglia numero 10. Licenziato dopo un anno il tribunale ordina il reintegro costringendo la sua azienda, l’EAV (l’azienda che si occupa del trasporto pubblico in Campania) a pagare le spese legai e un anno di stipendio arretrato.

Purtroppo non è una barzelletta, è tutto vero. L’incredibile vicenda del dipendente prima licenziato e poi reintegrato è stata raccontata da “Il Mattino”. A salvare il finto malato un decreto regio di epoca fascista, il 148 del 1931, secondo cui (all’articolo 42) la “simulazione di malattia” va intesa come comportamento sleale e punita solo con una sospensione e non il licenziamento.

I fatti risalgono al 27 e 28 ottobre 2017. Il dipendente invia un certificato medico all’azienda e se ne va in giro – così come documentato minuziosamente – prima per supermercati e poi con amici. Il giorno dopo addirittura si reca in provincia per scendere in campo nella quarta giornata del girone A del campionato di Prima Categoria.

Nonostante sia venuto meno il “rapporto fiduciario” con il dipendente, l’azienda presieduta da Umberto De Gregorio sarà costretta a riassumere il dipendente ma – assicurano – la sentenza-beffa verrà impugnata.

Amareggiato il presidente De Gregorio che su Facebook commenta così la vicenda:

 

“Si può far finta di essere malato, non andare al lavoro e partecipare ad un torneo di calcio. Si può . Secondo un giudice del lavoro di Napoli si può. O meglio non si può, ma il fatto – riconosciuto da tutti e quindi non contestato nel processo – non è di tale gravità da configurare gli estremi per il licenziamento. Perché così stabilisce il regio decreto 148 del 1931. Va applicato l’art.42 di tale decreto di epoca fascista. Siamo, sostiene il giudice, in una ipotesi di ‘simulazione della malattia ‘ che configura soltanto la sospensione dal servizio e dalla retribuzione ma non il licenziamento. Conclusioni: il dipendente va rimesso in servizio.
Il rapporto di fiducia? Non importa. I terzi e l’azienda fregati? Non importa. Conta la forma.
Questa è l’Italia. Dove la forma conta più della sostanza. Le carte più delle persone. I diritti più dei doveri.
Non ho niente contro nessuno. Rispetto le sentenze , ma queste sentenze aiutano a trasmettere il senso del dovere ai lavoratori ed a rispettare i diritti degli utenti e la dignità del datore di lavoro ?
Il problema non è il caso specifico. Il singolo lavoratore, magari pentito. Ma che effetto ha una sentenza del genere? Non alimenta un senso di impunità che rende poi vana ogni azione educativa ?