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Uccisi per dare l’esempio, arriva la mazzata per l’erede degli Amato-Pagano

Lo scorso dicembre ha compiuto 17 anni e i prossimi 18, forse con qualche sconto se si comporterà bene, li passerà dietro le sbarre per un duplice omicidio ideato e realizzato, con l’aiuto di due complici, il 20 giugno 2016 in un appartamento al quarto piano di via Giulio Cesare a Melito (Napoli), roccaforte del clan Amato-Pagano, gli Scissionisti della faida di Scampia.

D.Amato, figlio di “zia” Rosaria Pagano, sorella del boss Cesare, e di Pietro Amato (fratello dell’altro boss Raffaele Amato), morto in Spagna quasi dieci anni fa per cause naturali, è stato condannato nei giorni scorsi a 18 anni di reclusione dal Tribunale per i minori di Napoli al termine del processo con rito abbreviato (pena ridotta di un terzo). E’ ritenuto responsabile del duplice omicidio di  Alessandro Laperuta, 32 anni, e Mohamed Nuvo, 30 anni (morto dopo  l’arrivo in ospedale), due affiliati al clan che avevano però “sgarrato” e dovevano essere puniti per le iniziative autonome che avevano intrapreso. Così è finito in carcere prima del tempo, addirittura anticipando i fratelli maggiori Carmine e Raffaele jr, in regime di carcere duro da tempo.

Alessandro Laperuta, 32 anni, e Mohamed Nuvo, 30 anni, in sella a una moto

L’omicidio fu pianificato e organizzato in un appartamento nella disponibilità del clan. Laperuta morì all’istante, Nuvo invece fu trovato agonizzante dai carabinieri intervenuti poco dopo sul posto. Inutile il trasferimento in ospedale, il 30enne morì poco dopo. Ferito da una pallottola al torace invece l’allora 15enne rampollo del clan Amato-Pagano. Soccorso e trasportato in ospedale, a bordo di un Tmax, dal suo guardaspalle (tutt’ora ricercato), figlio di Ciro Mauriello, elemento di spicco degli Scissionisti arrestato nel 2016.  Nella corsa disperata verso il San Giuliano di Giugliano, la coppia fu protagonista anche di un incidente.

D.Amato, già padre da un anno nonostante la giovane età, nei mesi precedenti al suo arresto, avvenuto il 24 maggio 2017, non andava a trovare la madre, Rosaria Pagano, in carcere perché più volte gli è stato ribadito di aver avuto atteggiamenti poco proficui agli affari economici del clan.  “Non va in carcere perché ha paura di ricevere una ‘cazziata’ dalla madre” ci rivela una fonte autorevole che poi sottolinea come, per colpire seriamente il clan degli Scissionisti, “bisognerebbe assestare un duro colpo al loro patrimonio economico, fatto di immobili e numerose attività commerciali intestate a prestanomi e sparse sia in Italia che all’esterno”.

Una condanna esemplare quella del rampollo degli Scissionisti. “È così che la giustizia deve rispondere, con i fatti. Con gli atti. Non con le chiacchiere, non con le parole. Bisogna far capire a questi ragazzi qual è il risultato di certe condotte”, hanno sentito dire -riferisce Repubblica Napoli – alla presidente del Tribunale per i minori, Patrizia Esposito, giudice refrattaria ai proclami e alle polemiche.

D.A. con il suo guardaspalle durante una vacanza di lusso

 

Sempre Repubblica, in un articolo firmato da Conchita Sannino, sottolinea come il 17enne non abbia proferito alcuna parola durante il processo. “Sempre a testa bassa, senza fiatare è tornato in cella, dopo la condanna: sotto lo sguardo acerbo e pallido della sua compagna, altra minore, che gli ha dato una figlia, e assisteva all’ultima pagina”. Lo stesso carcere “dove, da mesi, gli educatori non hanno mancato di sottolineare il suo comportamento calmo, il rispetto delle regole”