Voce di Napoli | Navigazione

Aniello La Monica: l’origine della faida di Scampia e il conto in sospeso con Paolo Di Lauro

Paolo Di Lauro ha costruito uno dei clan più potenti di sempre, ma la sua storia non nasce dal nulla. Ciruzzo ‘o milionario era il preferito di un altro potente capo della camorra, Aniello La Monica. Negli anni ’80 Anielluccio ‘o pazz, così chiamavano La Monica a causa della sua crudeltà e spietatezza, comandava a Secondigliano e non aveva rivali. In molti lo conoscevano come “Il Macellaio” perchè aveva l’abitudine non solo di uccidere le proprie vittime, ma anche di asportarne il cuore. Nel quartiere era considerato un re, praticava contrabbando di sigarette, estorsioni e rapine ed era legato al camorrista Michele Zaza. Entrambi i boss avevano in comune l’ammirazione per i mafiosi siciliani e l’organizzazione di Cosa Nostra, insieme operavano nel sistema di contrabbando di sigarette e si dividevano due zone distinte della città. Nel corso di un interrogatorio Gaetano Guido racconta: “Nel 1980, a Secondigliano, non esisteva ancora un riferimento al clan Licciardi (ndr clan di Secondigliano che ha la sua roccaforte nella Masseria Cardone). Chi contava in quegli anni era il solo Aniello La Monica.,  il più feroce avversario di Raffaele Cutolo. Lui abitava “miezz all’arco” in una costruzione alla quale si accedeva in una costruzione alla quale si accedeva dalla strada attraverso un grosso cancello di ferro, vicino alla sua abitazione vi era un bar, che noi usavamo come punto di ritrovo“.

Paolo Di Lauro nel clan La Monica.  Nella sua carriera La Monica aveva reclutato tanti giovani disoccupati e disperati che cercavano facili guadagni, tra questi anche Paolo Micillo, Mimì Silvestri, Raffaele Abbinante, Rosario Pariante, Raffaele Prestieri, Enrico D’Avanzo, Giuseppe Ruocco e Paolo Di Lauro. Don Aniello ammirava la meticolosità, l’intelligenza e la riservatezza di Ciruzzo ‘o milionario, ma sapeva benissimo che proprio per questo doveva stare attento a quel ragazzo diventato uno dei suoi uomini di fiducia, che aveva adottato come un figlio all’età di 20 anni. Quando gli affari del clan, basati principalmente sulle estorsioni, cemento e contrabbando, non bastavano agli affiliati a cui faceva gola la ricca fetta del mercato di droga, Di Lauro organizzò un summit con gli altri affiliati per fare fuori il boss. Aniello nel frattempo preparò un agguato contro di lui ‘miez all’arco a Secondigliano prevedendo le mosse del sottoposto, ma Di Lauro rimase illeso. Qualche giorno dopo, il 1 maggio del 1982, il boss di Secondigliano fu fatto fuori e per tre giorni i negozi della zona restano chiusi per ordine del clan. Antonio Ruocco racconta: “Appresi direttamente da Raffaele Abbinante, che aveva partecipato all’agguato, come si erano svolti i fatti. Mi fu riferito che avevano fatto una telefonata a La Monica attirandolo fuori casa con la scusa di fargli acquistare brillanti. Aniello era caduto nella trappola così scesero dalla macchina e investirono il boss e poi gli spararono. Sull’auto c’era anche Ciruzzo o milionario, Raffaele Prestieri, che guidava, e Rosario Pariante”. Nasce la cupola del clan di Lauro che in breve tempo si organizza nel quartiere di Secondigliano dove la presenza dei Licciardi era divenuta nel frattempo predominante. A quel punto Paolo Di Lauro riesce ad acquistare la droga da venditori di fiducia e insieme a Raffaele Amato, affiliato presente in Spagna, ad avere un contatto diretto con i colombiani.

La vendetta dopo vent’anni. Passano vent’anni dall’ascesa del clan, Paolo Di Lauro venne arrestato il 16 settembre 2005, si trovava in una casa umile a Secondigliano. A tradire il boss senza volto, che aveva passato una vita a nascondersi divenendo una leggenda, fu un vizio di gola. Tutto il quartiere si riunì fuori al nascondiglio per vedere finalmente il volto del boss, ma anche in quella occasione Di Lauro camminò con la testa abbassata per non farsi vedere. Gli investigatori, sulle tracce del boss, iniziarono a seguire anche le donne vicine al clan e notarono che una di queste faceva la spesa e comprava pezzogne e salmone: pesce preferito da Di Lauro. Qualche giorno dopo in Tribunale durante il processo, in cui sono presenti anche gli Scissionisti, Ciruzzo ‘o milionario e il figlio Vincenzo iniziarono a fare degli strani segnali che fanno impazzire i cronisti che al momento non ne capiscono il significato: gesti che indicano la barba, il volante, i polsi e l’anulare. I fatti di cronaca successivi svelarono il mistero. Il giorno dopo Eduardo La Monica, 29 anni e nipote di Aniello, venne trovato ammazzato nel portabagagli di una macchina di lusso abbandonata in una discarica di rifiuti poco distante dalla Rotonda di Arzano. La vittima era incensurata, gestore di un’autorimessa a Secondigliano, ma la sua morte avvenuta in seguito a terribili torture fa subito pensare alla faida tra il clan Di Lauro. La Monica prima di essere ucciso era stato torturato come un traditore, i suoi assassini gli avevano spezzato i polis, tagliato la lingua, mozzato le orecchie, cavato gli occhi e tracciato una croce sulle labbra. Un delitto di camorra messo in scena per punire chi aveva parlato. Dopo vent’anni, in cui il clan La Monica era alleato ormai ai Di Lauro, il nipote si era vendicato per l’omicidio di Aniello La Monica, aveva tradito forse involontariamente il boss Paolo Di Lauro dando probabilmente informazioni sul suo nascondiglio. Il conto in sospeso era stato finalmente chiuso.

Per l’omicidio vennne arrestato Daniel Pacewicz, il 26enne polacco che lavorava alle dipendenze della vittima. L’ immigrato fu colto in flagranza, 17 ore dopo il delitto, mentre caricava il corpo seviziato. Daniel raccontò di aver dovuto ubbidire agli ordini della camorra: “Gli assassini bussarono al cancello del garage. E fu il mio titolare, Eduardo La Monica, ad aprire la porta. Li conosceva, si salutarono chiamandosi per nome. Sembrava che fosse un incontro senza sorprese. Anche se erano le 4 del mattino. Si chiusero nello stanzino, e li sentii alzare la voce. Poi i colpi sordi, i rumori. E le urla”.