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Palazzo Como, oggi Museo Filangieri

Se si percorre la lunga e prestigiosa via Duomo, partendo da una qualsiasi delle due estremità, giunti al numero 288 ci si imbatte in un edificio che sembra piombato lì dal passato di un’altra città. Al numero 288 Palazzo Como ricrea a Napoli un assaggio di Firenze. Ma lo fa con una forza d’impatto straordinaria alla vista, tale che le lacune in termini di raffinatezza ed eleganza vengono sovrastate dalla mole massiccia di un edificio che non riesce proprio a passare inosservato.

Due soli piani, è vero. Scanditi da cenci più sporgenti al primo, e alleggeriti sul secondo. Improvvisamente scuri, inseriti all’interno di un reticolato di palazzi molto simili tra loro per colori (chiari) e dimensioni (maggiori). Palazzo Como sembra in Via Duomo, in effetti, un corpo estraneo. Eppure la sua storia parla di lavori e rivisitazioni che hanno coinvolto spesso e volentieri molta parte degli edifici circostanti il nucleo originario.

Una storia antichissima, che comincia nel 1404, con la prima attestazione della proprietà di Giovanni Como, figlio di Girolamo. Nel 1451 ritroviamo Giovanni, insieme a suo fratello Fabio, intenti ad acquistare la proprietà di tale Angelo Ferrajolo, per espandere a sud la loro residenza. Una propensione espansiva che non si placherà fino alla vendita dell’edificio da parte dei discendenti dei Como, caduti in disgrazia col mutare delle condizioni politiche a Napoli, un secolo e mezzo più tardi.

Dal 1464 in poi i lavori per l’espansione dell’edificio originario si moltiplicano vertiginosamente. Angelo Como, figlio di Giovanni, dopo aver fatto rivestire l’esterno di marmo e piperno, intraprende un progetto architettonico ideato con tutta probabilità da Giuliano da Maiano. Anche le maestranze sono di tutto rispetto. Risulta ai registri la commissione di varie porte e finestre a due maestri lapicidi: Rubino di Cioffo da Cava e di Evaristo da San Severino.

Nel 1473 Palazzo Como può dirsi già completato. Lo stile ricordava molto da vicino quello di Palazzo Carafa, ultimato pochi anni prima. D’altronde i contatti tra Angelo Como e Diomede di Carafa potrebbero essere avvenuti nell’ambito delle acquisizioni di proprietà limitrofe della confraternita di San Severo a Pendino, confraternita di cui Diomede era membro illustre.

Nel 1488 il Duca aragonese Alfonso II di Calabria, nel corso di una visita a casa Como, fa notare al proprietario Leonardo, figlio di Angelo e suo stretto collaboratore (come d’altronde lo era anche il padre), che a Palazzo Como manca un giardino. Gli vien risposto che si era provato a chiedere a Francesco Scannasorice, ma il vicino non intendeva privarsi del suo orto. Il Duca si spende in prima persona. Acquista la proprietà di Scannasorice, e la dona alla famiglia Como. Palazzo Como avrà il suo giardino.

Due anni più tardi, nonostante la struttura potesse dirsi ultimata, i Como continuano nell’instancabile opera di miglioramento dello stabile. Assoldano tre scalpellini toscani per aggiungere porte e finestre interne, e comprano tutti gli edifici dal lato sud di Palazzo Como, in Vicolo dei Tintori, per abbatterli ed aver la visuale libera di spingersi fino al mare. Lo stile del palazzo è sempre più fiorentino.

A partire dal 1495, i Como si ritrovarono come vicini di casa i Domenicani. Questi si stabilirono in una chiesetta sul lato nord di Palazzo Como, dotata anche di un piccolo ospedale, i cui lavori durarono una decina d’anni. Nel 1504 la chiesa poteva dirsi ultimata, e venne dedicata a San Severino. Il ruolo dei domenicani a breve sarà fondamentale nelle vicende di Palazzo Como.

Nel 1567 Palazzo Como viene dato in affitto. E’ l’inizio di un progressivo distacco della famiglia dalla sua proprietà. Non è un caso che nel 1500 non siano più gli aragonesi a governare Napoli, ma i viceré. Gli agi economici dei Como, legati a doppio nodo alla corona aragonese (testimonianza ne è la presenza dello stemma degli Aragona su un lato del Palazzo), cominciano a subire bruschi ridimensionamenti.

All’affitto segue la vendita definitiva vent’anni dopo. I Domenicani si fanno trovare pronti per l’occasione. Acquistano l’immobile e cominciano a lavorarci su per farne la naturale prosecuzione della Chiesa di San Severino. Affidano le modifiche a Giovan Giacomo di Conforto, il quale conferirà all’aspetto del Palazzo alcune caratteristiche proprie dell’architettura religiosa.

Quando nel 1806 Napoleone abolisce gli ordini religiosi, Palazzo Como diventa una birreria prima, e sede di parte dell’Archivio del Regno delle Due Sicilie, poi. Dal 1823, per quarantanni, l’edificio torna in gestione ai monaci. Vi si avvicendano prima l’Ordine della Venerabile Giovanna de Lestomac, e poi i Padri Minori Osservanti, fino a quando nel 1863 Palazzo Como non diviene sede di uffici del Municipio e della Prefettura.

Nel 1879 il Palazzo si ritrova al centro di un violento dibattito tra chi, in nome delle migliorie urbanistiche previste in Via Duomo, vorrebbe abbatterlo, e chi vuole preservarlo. La spuntano questi ultimi, che hanno nella famiglia Filangieri un agguerrito rappresentante. E difatti i Filangieri donano la propria collezione d’opere d’arte al Comune di Napoli, in cambio della proprietà di Palazzo Como.

Altra regola messa nero su bianco nel contratto: Palazzo Como deve diventare sede del Museo Filangieri, all’interno del quale verranno esposte le opere d’arte della collezione Filangieri, gestite per sempre da un membro della famiglia. Per preservare il Palazzo dai lavori in via Duomo (che comunque andarono in porto), lo si smontò e ricostruì interamente a distanza di 20 metri. Dal 1888 Palazzo Como diventa ufficialmente il Museo Civico Gaetano Filangieri, oggi ancora aperto, a beneficio di chi voglia fare un tuffo nell’arte da un trampolino rinascimentale.