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La storia di Suor Aldina Murelli di Portici, stipendiata della Camorra

Nella notte del 17 Giugno 1983 lo Stato sferrò alla Camorra un colpo clamoroso, sguinzagliando nell’ambito di una gigantesca retata oltre 10000 tra agenti di Polizia e Carabinieri, e consegnando alla giustizia oltre 400 presunti affiliati, notificando oltre 300 mandati a persone già detenute, e mettendo in fuga decine di nuovi latitanti. In quell’occasione fu fermato anche Enzo Tortora, accusato di forti collusioni. Ma le sorprese non finirono lì.

Fece scalpore la notizia che tra gli arresti figuravano persino i nomi di due ecclesiastici: Suor Aldina Murelli di Portici, e Padre Mariano Santini, cappellano del carcere di Ascoli. D’altra parte, in una maxi-inchiesta nella quale i pentiti della Nuova Camorra Organizzata (NCO) riversarono sulle pagine dei magistrati una quantità abnorme di nomi, aneddoti, dati, e date, non potevano non figurare figure professionali d’ogni tipo. Nessun settore della società escluso.

Tutto partì dall’acquisizione di materiale documentale insospettabile nelle carceri italiane, e poi continuò con un’adesione progressiva degli uomini di Cutolo, il boss, alla causa della giustizia italiana, spinti non già da valori e pentimento reali, quanto dalla possibilità di essere protetti, visto che chi in un modo chi nell’altro, avevano motivi per temere le mosse di Cutolo.

E le parole dei pentiti diventavano in quegli anni vangelo. Ci si muoveva in un contesto legislativo nullo, a causa della mancata disciplina dell’utilizzo dei pentiti nell’ambito delle inchieste sulla Camorra. Si potevano utilizzare le regole imposte nell’ambito dei processi per terrorismo, ma i due fenomeni erano troppo diversi per poter essere affrontati alla stessa maniera.

Per cui, se un pentito faceva un nome, e raccontava di quel nome una storia verisimile, corredata da qualche dato contingente che rispondeva al vero, quel nome finiva nel tritacarne mediatico. Oggi siamo abituati. Allora il nome di Enzo Tortora fu demonizzato senza alcun beneficio del dubbio. Il suo arresto a Roma cominciò una pagina triste della nostra giustizia.

E dire che la maxi-retata fu davvero un fiore all’occhiello per lo Stato Italiano. Non si vedevano numeri di queste entità dal 1907, con il Procedimento Cuocolo. E prima ancora solo in una occasione lo Stato Unitario lanciò un’offensiva così massiccia alla Camorra. Era il 1861, e Silvio Spaventa tentò di rimediare ai danni procurati da Romano Liborio, il quale assoldò centinaia di camorristi nella Guardia Cittadina.

Nella retata del 1983, però, vi erano elementi di novità rappresentati dall’enorme ramificazione della Camorra in ogni settore della società. Il fatto che persino il clero ne fosse coinvolto non dovrebbe stupire più di tanto. Sfruttamento di parentele e conoscenze, pianificazione delle infiltrazioni, rientravano nella routine camorristica.

Che gli affiliati incaricati di svolgere certi compiti fossero privati cittadini, cittadini di pubblico rilievo, o religiosi, questo cambiava solo l’entità del compito che poteva esser loro affidato. Ma ad una suora, e nello specifico, a Suor Aldina Murelli, cosa si poteva far fare? Quale tra le caratteristiche di una suora poteva essere utilizzata per avvantaggiare la Camorra?

La riservatezza. L’insospettabilità. “Postina”, “Treccani”, “Madonna”, erano i tre nomignoli, o nomi in codice, con cui la Camorra indicava la suora, ospite dell’Istituto delle Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue di Ercolano. Postina, perchè recapitava messaggi del boss, Treccani perchè era informata di tutto, Madonna perchè era una suora.

La sua funzione era quella di acquisire le direttive del Boss e farle pervenire ai detenuti suoi affiliati, in maniera che dall’interno potessero ricevere indicazioni operative circa regolamenti di conti, o qualsiasi altra attività richiedesse il loro intervento all’interno delle carceri. Come comunicare, però, con i detenuti, senza destare sospetti?

Il sistema era molto semplice. Ufficialmente la suora aveva cominciato una corrispondenza con alcuni detenuti per provare ad accompagnarne il processo di redenzione, per curare le loro anime desiderose del perdono di Dio e della comprensione umana. All’interno del processo la suora continuò a sostenere questa tesi, dichiarandosi sinceramente interessata alle sorti delle anime da lei seguite.

La realtà, affermavano il pentito e gli inquirenti, era un’altra. Suor Aldina Murelli era una vera e propria centrale di smistaggio ordini e informazioni tra Cutolo e gli altri membri del suo clan, “di stanza” a Poggioreale. Il fatto che Suor Aldina si fosse prestata a questo compito si spiegava anche con la vera e propria venerazione per il Boss, considerato un benefattore al pari di Cristo.

Ma un’altra ragione la spingeva a fornire i suoi servigi per conto della causa camorristica: il vil denaro. Suor Aldina era infatti una stipendiata. E nemmeno di second’ordine, se si considera che la sua paga mensile s’aggirava tra le quattrocento e le cinquecentomila lire. Allora non erano bruscolini, e non lo sarebbero nemmeno oggi, in realtà.

Quando l’avvocato di Suor Aldina ascoltò le dichiarazioni del pentito che parlavano del rapporto di dipendenza lavorativa tra la suora ed il Boss, si oppose a quell’accusa infamante, e chiese immediate verifiche di quel giro di denaro. Il pentito (Pandico) rispose “Non glielo consiglio, Avvocà”, sicuro che presso gli uffici postali traccia di quei pagamenti ancora c’era.

Pandico ricordò anche di possedere un libro (“Il rosario di Pompei”, di Bartolo Longo), all’interno del quale la suora avrebbe annotato una dedica particolare, nascondendola sotto parole in codice. In seguito alla richiesta di sequestro del volume, il Pandico sottolineò ulteriormente, a riprova della veridicità delle sue affermazioni: “Guardi che i libri sono due”.

Quando Suor Aldina fu sorpresa dalle forze dell’ordine che, nel pieno della notte di quel 17 Giugno bussarono alle porte del convento, la sua reazione non fu delle più composte. Tra urla, strepiti, e persino tentativi di percosse, la suora non applicò di certo la legge evangelica del “Porgi l’altra guancia”, ma si oppose con tutte le sue forze all’arresto.

Una volta riacquistata la calma, però, (non prima di aver strappato la camicia ad un agente), si lasciò trasportare in questura senza creare ulteriori difficoltà. Si raccomandò solamente, una volta scesa dall’auto, prima di entrare in questura, che la folla di fotografi che stavano per immortalarla, fossero messi in condizioni di inquadrare per bene il Vangelo che decise di portare con sé dal convento.